Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Bellocchio prende il testo omonimo di Cechov (1895) e lo maneggia con cura, senza strafare nè variare più di tanto i contenuti, dandogli semplicemente una forma cinematografica in una sceneggiatura scritta a otto mani con Petraglia-Rulli-Leone. Si vede tutta, l'ammirazione del regista per lo scrittore russo, ed il risultato è un sentito omaggio all'opera originale, ma anche un film compatto, elegante, ben recitato. Fra i protagonisti, due ottimi Remo (Girone e Remotti), Giulio Brogi e Laura Betti; montaggio di Silvano Agosti e musiche di Nicola Piovani. Il gabbiano è una palese metafora dell'irraggiungibilità della soddisfazione nella vita, prendendo le mosse dalla condizione dell'artista (lo scrittore e l'attore), che mette perennemente in gioco la propria carriera e la propria vita, facendo del proprio mestiere una reale missione cui aderire con ogni sforzo intellettuale e fisico. Allo stesso modo un gabbiano che sorvola il lago può trovarsi completamente indifeso di fronte al cacciatore ed alla sua imprevedibile volontà di abbatterlo. Il cacciatore può essere il pubblico, ma anche gli affetti e le amicizie che circondano l'artista, ovvero la base solida e umana su cui egli si erge. 6,5/10.
Fine 1800, uno scrittore in cerca di successo mette in scena la sua ultima opera; la madre lo deride e lui si deprime. Inoltre la donna di cui è innamorato lo rifiuta, preferendogli un attore affermato; lo scrittore non trova pace, si ritiene un totale fallito e si dà la morte.
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