Regia di Maurizio Ponzi vedi scheda film
A luci spente è il racconto di come un coraggioso produttore (Ettore Benedetti) e un regista non schierato (Giovanni Forti) riescono, sia pure con moltissime difficoltà, a portare a termine negli anni cupi della secona guerra mondiale, la lavorazione di un proprio film.
Lo spunto e l'obbiettivo sono decisamente intertessanti anche perchè Ponzi costruisce la sua storia agendo su due fronti riuscendo così a parlare contemporaneamente di quel terribile conflitto (che è sempre stato per il cinema un fertile terreno per costruire e raccontare storie drammatiche) e delle parallele e altrettanto complicate vicende passate dal cinema italiano durante il periodo dell'occupazione tedesca nel corso del quale ben pochi, tra registi e attori, trovarono la forza di sfuggire all'imposizione dettata dai vertici di Salò. Infatti, se si voleva continuare a lavorare, prima di tutto era necessario trasferirsi a Venezia e poi accettare e rispettare le finalità propagandistiche imposte dal regime fascista.
Non tutto funziona alla perfezione, ma comunque rimane una testimonianza importante che vale la pena di vedere. L'aspetto più interessante è quello di aver focalizzato l'attenzione su un periodo di transizione per il cinema italiano che è stato quello che ha segnato il passaggio dalla cosiddetta epoca dei telefoni bianchi che come ben sappiamo era un cinema di pura evasione, frivolo e patinato, a quella del neorealismo.
Nel film c'è poi una vasta galleria di personaggi ben definiti come quello interpretato da una bravissima Giuliana De Sio non ancora passata dalle mani dei chirurghi plastici (la diva costretta dalle difficoltà economiche della produzione a raggiungere il set in tram) o quello del primattore fascista (Giulio Scarpati) ansioso di raggiungere Venezia.
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