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Le pagine della nostra vita

Regia di Nick Cassavetes vedi scheda film

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La recensione su Le pagine della nostra vita

di LorCio
6 stelle

Indubbiamente non indimenticabile, ma neanche da dimenticare, è un film che ha un suo recondito pregio nascosto: una robustezza d’altri tempi. Anzi, forse tutto ha il sapore dei tempi andati. A partire dalla storia – dimenticate che è tratta da un romanzo di Nicholas Spark, sopravvalutassimo e mieloso scrittore pure di I passi dell’amore e Le parole che non ti ho detto – che si snoda in un lungo arco di tempo e prosegue a ritmo di flashback. Si percepisce l’anacronismo dei costumi e della scelta cromatica (guardate attentamente la scena, molto dolce, dell’invito sulla ruota panoramica: i tre personaggi sono tinti con colori speculari e fiammeggianti), che a tratti potrebbero far tornare alla mente i caratteri specifici della cinematografia di Douglas Sirk. Non vola alto come quei film, ma ha una ragione di esistere. Certo, considerata la contestualizzazione storica (il film è stato girato nel 2004), può anche essere visto come qualcosa di irrimediabilmente fuori tempo (compresa quella subdola lentezza che in realtà è pacato fuoco interiore), ma forse il bello sta proprio lì. È troppo lungo? Qualche minuto è di troppo, specie nella parte centrale, ma sono inevitabili per capire le istanze profonde delle trame. Istanze? Beh, in fondo stiamo parlando di una banale storia d’amore. Invece no. Come ci insegna François Truffaut, le storie d’amore banali sono le più difficili da spiegare.

 

Qui l’amore è interpretato su vari registri: come arma per combattere le ingiustizie sociali (lei è straricca e benestante, lui è poveraccio ed umile); come veicolo per realizzare i propri sogni; come antidoto per ricordare. Ecco, secondo me è su questa linea che la storia va a gonfie vele. Mentre la rievocazione storica è sì funzionale ma probabilmente anche scontata, i frammenti più appassionati sono quelli contemporanei. Le ragioni? Non di certo ascrivibili a Nick Cassavetes, che si limita a dirigere il traffico con silente adeguatezza. Bensì a sua madre, una Gena Rowlands che fa stringere il cuore, e al suo compagno di una vita (filmica) James Garner. I loro omologhi giovanili sono Rachel McAdams e Ryan Gosling, bravi e carini, ma le lacrime che nel melodramma sono di rigore e che nei flashback stentano a calare, esplodono quando entrano in scena, nella parte finale, i due mostri sacri. Lei ormai è in preda alla senilità e non rammenta più nulla, lui le legge la loro storia d’amore, affinché lei ricordi. La cena a lume di candela, il ballo, il riconoscimento: lì si comincia a piangere. E poi l’improvviso oblio, i gesti scostanti, quasi rabbiosamente indifesi. E la scena che conclude la storia, con i due vecchi innamorati abbracciati nel letto della clinica: singhiozzi. Un piacevole ricatto.

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