Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Rivisitazione contemporanea dell’omonimo classico libro di fantascienza di H.G. Wells del 1898, evocato anche da Orson Welles nel suo celebre scherzo radiofonico e secondo adattamento ufficiale per il grande schermo, dopo la pellicola del 1953 di Byron Haskin, La guerra dei mondi racconta la tragica storia di una spaventosa invasione aliena vista dagli occhi di Ray Ferrier, un operaio portuale divorziato e incapace di essere un buon padre per i due suoi figli: il ribelle adolescente Robbi e la piccola Rachel. Sarà proprio durante una delle sporadiche visite dei suoi figli, affidatigli per un week-end dalla sua ex moglie, che una gigantesca macchina da guerra, emersa sotto le viscere della terra, dopo una violenta scarica elettrica, comincerà a distruggere tutto ciò che ha intorno. E’ l’inizio della fine. Un sanguinoso attacco alieno contro il pianeta e la conseguente impossibile lotta per la sopravvivenza caratterizzeranno tutta la restante parte delle vicende, con la lotta di Ray per salvare sé stesso e i suoi figli da un nemico insormontabile.
Tanti i temi e le chiavi di lettura insite nel film di Spielberg, una su tutte: la visione apocalittica, veramente tutta americana, post 11 settembre, capace di spettacolarizzare e, nello stesso tempo, incupire ancor di più la catastrofe. Alla maniera di Jurassik Park, Spielberg punta tutto sulla presa visiva: dalle perfette inquadrature, al montaggio, finanche al commento sonoro, tralasciando eccessivamente la storia, che fino alla fine rimane orfana di un narratore che osi andare oltre quel piano strettamente individuale che riguarda la difficoltà del quotidiano: la durezza della vita e delle scelte, l’amore, le responsabilità e l’identità.
Anche Tom Cruise, che ritrova Spielberg, dopo Minority Report, in questo film se la cava in modo non del tutto convincente, specie nella prima parte del film, con il suo tratteggiare le difficoltà di un padre disadeguato si dimostra decisamente forzato e poco credibile, a differenza di Tim Robbins, che interpreta il maniaco della resistenza.
Cinquantadue anni più tardi, rispetto alla versione della stessa storia di Byron Haskin, ci saremmo aspettati non solo una maggiore perfezione delle apparecchiature aliene e un magniloquente catastrofismo, ma anche una guerra di dialoghi, che qui sono abbastanza intrisi di pacifismo e buonumore, di matrice eccessivamente parrocchiale. Eppure di guerre dei mondi in giro ce n’è: dall’Iraq a tutta l’intera l’Africa.
Evidentemente l’attenzione del regista è tutta concentrata nel racconto del mondo microcosmico, abitato dai soliti papà che non sanno prendersi cura dei loro figli, non conoscendo le loro pappe, la misura dei loro pannolini e le ninna nanne da cantare loro. Vabbè, ma non possiamo sempre raccontare della solita “guerra giusta”, da combattersi per ricongiungere lo stato famigliare, sempre più in ‘disordine’ e in ‘guerra’ (in ogni parte del mondo) e riconsegnare la solita nauseante visione di un quotidiano fatto solo di: padre-madre-figli-morale-casa-lavoro-tuttinsiemeappasionatamente. A tal proposito, Tim Robbins rende benissimo le brutture di chi deve obbligatoriamente interpretare gli avvenimenti attraverso una visione paranoica.
Non mancano momenti di bel cinema catastrofico: dal treno in fiamme che corre veloce nel buio, alla pioggia di vestiti che cadono come fossero pioggia, fino all’ancor più impressionante scena del fiume su cui nella notte scorrono decine di cadaveri. Insomma, alla fine La guerra dei mondi si sviluppa tra belle scene d’azione e brutte scene di recitazione.
Se anche Spielberg avesse osato da (anti)americano a non presentarci i soliti “altri” (oggi li chiamiamo terroristi, immigrati, iracheni, gli ultimi, i poveri…) invasori, venuti per distruggere e togliere a “noi”, avremmo letto ed interpretato nel migliore dei modi quella guerra che ogni giorno, nonostante i film, si combatte sempre e comunque tra due mondi diversi. Guarda caso sempre quello dei poveri e quello dei ricchi.
Giancarlo Visitilli
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