Regia di Vittorio Salerno vedi scheda film
Un parente di Giulio Sacchi (Milano odia: la polizia non può sparare) agisce a Torino: ma non è l'egoismo, tantomeno il denaro, il suo obiettivo. Piuttosto il traguardo sembra essere il caos, l'infrazione delle regole per il gusto di violare le norme. Il male, fine a se stesso, sembra qui evocato (anche) da una società che talvolta produce mostri.
Esperto di calcolatori elettronici, Mainardi (Joe Dallesandro) lavora all'interno di un enorme fabbrica, assillato dalla presenza di un direttore cinico e schiavista. Anche in famiglia la situazione non è di certo idilliaca: vive con una moglie spocchiosa e sempre assente, che non disdegna di concedersi al primario dell'Ospedale dove lavora pur di fare carriera. Il traffico della città -per evitare il quale fa collezione di multe- e tutti i limiti imposti in generale dalle regole della società, lo rendono pericolosamente instabile. Insieme ad altri due colleghi inizia un gioco pericoloso, all'interno di uno stadio gremito di gente, durante una partita della nazionale: l'atto vandalico, il cinismo spietato e la violenza pura, diretta e senza movente diventeranno obiettivi primari del terzetto che a Torino semina paura, sangue e morte. Contro ogni logica di indagine standard, il commissario Santagà (Enrico Maria Salerno) si mette sulle tracce dei delinquenti...
Steno, nel 1972, realizza una pellicola (La polizia ringrazia) che sta a capo del filone poi denominato dalla critica colta (con malcelato pregiudizio) poliziottesco. Termine quasi dispregiativo per una lunga serie di titoli molto apprezzati dal pubblico ma poco graditi alla critica ufficiale all'epoca della realizzazione (oggi in via di giusta rivalutazione).
La polizia ringrazia, si diceva. E lo si è menzionato soprattutto per la presenza in entrambe le pellicole di Enrico Maria Salerno in un simile ruolo: commissario di nome Bertone e/o Santaga'. Per il resto le similitudini con altri film italiani rendono Fango bollente più vicino a pellicole con criminali allo sbando senza alcuna motivazione (economica o politica), come dimostra l'indifferenza di Mainardi a richiami sindacali o a lotte di classe più in generale. Qui il malessere sembra piuttosto derivare dall'apatia di una vita che (forse oggi) si potrebbe definire fortunata: un posto di lavoro fisso, un matrimonio e la sicurezza di un futuro. Allora il modello di Salerno (regista) sembra essere un titolo di punta realizzato l'anno prima dal valido Umberto Lenzi, ovvero Milano odia: la polizia non può sparare e il cinico Mainardi, in parte, sembra così avere forte affinità elettiva con Giulio Sacchi (un immenso Tomas Milian). Sembra soltanto però, perché Sacchi, per quanto spietato e brutale (parallelismi: là venivano appesi cadaveri ad un lampadario, qui ad una statua collocata in pubblica piazza) aveva come obiettivo il denaro. Mentre il personaggio reso con estrema efficacia da Dallesandro è forse più in parte con quello di Madness (Vacanze per un massacro, Fernando Di Leo).
Fango bollente, seconda e (purtroppo) ultima regia cinematografica per Vittorio Salerno (fratello del più noto attore e zio della cantante Sabrina), si colloca su un piano "pessimista", già percorso in precedenza dal cineasta con No, il caso è felicemente risolto dove un convincente Riccardo Cucciolla (in Fango bollente attivo dietro le quinte come responsabile del doppiaggio) interpreta un personaggio combattuto e incerto. La vita sembra essere destinata al caos (sin dalla nascita), pare sottendere la bella sceneggiatura del film, e così vittime e carnefici ne subiscono gli influssi: un taxista nel posto sbagliato al momento sbagliato, o una consegna di sfratto possono fare la differenza, possono portare alla morte, oppure alla cattura e interrompere così una catena di inutili atti vandalici.
Riportando le tragiche parole pronunciate (profeticamente) dal saggio commissario, interpretato dallo zoppicante Enrico Maria Salerno, sospendiamo qui il giudizio su un film certamente riuscito e in grado di sorprendere per come, ad oltre 40 anni di distanza, sia ancora attuale e genuinamente disturbante.
Il commissario Santagà, sfogliando articoli di giornale: "Per una questione di posteggio, viene ucciso all'uscita di un cinema; tifoso freddato, con un colpo di pistola in bocca, dopo la partita; colpi di accetta, per una questione di precedenza stradale; rimproverato per avere schiaffeggiato uno scolaro, un insegnante ha freddato il direttore didattico con sette revolverate (...)
La questione è che noi ci ostiniamo a credere che un delitto debba avere sempre un movente: gelosia, denaro, interesse. Questa invece è tutta gente che, fino ad un attimo prima, non aveva nessuna intenzione, e nessun interesse, di uccidere. Siamo arrivati ad un punto, ormai, che basta una parola sbagliata, uno spintone, uno sguardo, uno sgarbo... e diventiamo tutti assassini".
Il film è disponibile in Dvd nel catalogo della 01 Distribution. La qualità audio/video è semplicemente perfetta, ma son dolenti le note sulla discutibile scelta del master utilizzato, che dura 78 minuti contro i 93 della versione integrale. Mancano, di fatto, tutte le scene di violenza al punto che si fatica a comprendere lo sviluppo degli eventi (ad esempio il duplice omicidio delle donne caricate in taxi). Questa scelta, dettata forse dalla sola disponibilità di una copia che è passata anche in tv, compromette però molto la qualità artistica del film rendendolo meno efficace, e talvolta confuso, poiché privato di elementi (sex & violence) fondamentali al climax della pellicola.
Curiosità: la scena dell'avvelenamento che anticipa, di pochissimo, il finale del film viene riproposta (ovviamente in altro contesto) da Michele Soavi nell'altrettanto riuscito Arrivederci amore, ciao, film che -in diversi contesti- per la presenza di un protagonista insensibile e violento, ricorda Fango bollente.
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