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Inginocchiati straniero... i cadaveri non fanno ombra!

Regia di Miles Deem (Demofilo Fidani) vedi scheda film

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La recensione su Inginocchiati straniero... i cadaveri non fanno ombra!

di scapigliato
8 stelle

Prolifico regista dello spagowestern più artigianale e rustico, quasi mai ha saputo dare ai suoi film quel lustro che sulla carta potevano avere. Demofilo Fidani è celebre per l’inconsistenza narrativa dei suoi film e per la puerilità della messa in scena che cade o meglio scade nel pochismo più banale, priva com’è di una cura non del dettaglio storico che poco ci importa - lo spagowestern è un genere assolutamente metastorico - quanto piuttosto priva di un’attenzione alle arti impegnate nel film. Gli attori non erano sempre dei giganti, anche se Fidani sapeva scegliersi quei grandi volti con cui firmare il proprio lavoro. Le scenografie, quindi gli ambienti, erano le stesse di tanti altri film, tra cui anche tanti ottimi film, ma la differenza sostanziale tra questi e quelli di Fidani è la regia, ovvero il modo in cui certi elementi della scena vengono impiegati. Ecco perchè Inginocchiati Straniero... viene considerato uno dei titoli migliori di Fidani, se non addirittura il suo western più riuscito. Proprio perchè la regia sembra aver maturato l’importanza dell’inquadratura, la direzione controllata degli attori, i dialoghi - nonostante molte battute restino imbarazzanti e prive di tono anche a causa degli attori -, l’importanza anche degli elementi e dei simboli inquadrati. La scena iniziale infatti è una delle più belle dell’intero film, con Hunt Powers che trascina per una polverosa strada di città un bandito. L’utilizzo della camera a mano insieme con il Primo Piano e il Dettaglio dei particolari, rendono miticamente la scena lasciando da parte la solita overture che ingloba il tutto e dà aria all’ambiente, scegliendo la via di una definizione precisa della pellicola fin dalle prime battute. Anche la seguente sequenza che vede protagonista addirittura Gordon Mitchell in una delle sue solite fugaci apparizioni come villain, è giocata molto bene e, di nuovo, l’utilizzo del Primo Piano e della macchina a mano ci porta a scontrarci con i personaggi e l’ambiente. Non c’è una vera e propria violenza rappresentata, piuttosto la violenza la ricrea il nostro sguardo filtrato da un movimento di macchina che è sì esso stesso violento. Forse un tiro un po’ troppo alto per essere un’intenzione autoriale consapevole di Fidani, ma che Fidani sia un vero autore non è una barzelletta.

Mentre in altri film il regista dei Django e dei Sartana di seconda classe non riesce a dirigere la confusione fisiologica del racconto, perdendo le briglie della coerenza e della consistenza narrative, qui riesce a mantenere una linea precisa, classica nonostante l’intreccio gia apparenga al nuovo filone vendicativo dello Spaghetti-Western, senza però tradire il suo marchio di fabbrica. Fidani infatti, anche in Inginocchiati Straniero... non può non fare a meno di girare lunghe scene silenziose e inutili, che sarebbero sì utili se supportate da una certa padronanza registica che il povero Fidani purtroppo non ha sempre. Così, tagliate le lungaggini, ciò che resta è un vero e funzionale racconto per immagini, aiutato più dall’iconografia che dai dialoghi, in cui possiamo rintracciare il film più rappresentativo della fase più matura del Fidani regista.

Anche la storia è una mezza novità narrativa, con un colpo di scena che cambia le prospettive e le aspettative del pubblico. Hunt Powers è Lazar, cacciatore di taglie che oltre ad intascarsi la taglia si prende pure il denaro rubato. É seguito a distanza da un pistolero silenzioso interpretato da Chet Davis che è poi al secolo Franco Borelli, cascatore diventato attore proprio grazie a Fidani. Tra i due c’è un tacito accordo che viene a svilupparsi lungo la vicenda, e diventano soci. Soci nell’affare che viene meglio a Lazar, ovvero intascarsi il bottino di un criminale, ucciderlo e prendersi pure la taglia. La difficoltà è che stavolta l’oro è molto; è quello di una miniera che il bandito interpretato da Ettore Manni tiene in scacco usando i poveri peones, tra cui Attilio Dottesio, come forza lavoro, curati e gestiti da una bestia come Medina, messicanaccio animalesco e lussurioso interpretato da tale Benito Pacifico. Interessante, nel parco attori, la bella presenza di Simonetta Vitelli, conosciuta come Simone Blondell, nel ruolo di Maya, la bruja del poblado, desiderio sessuale di Medina oltre che forte e tenace antagonista alle angherie del padrone Ettore Manni. L’elemento più interessante della storia è che Hunt Powers viene visto per tutto l’arco del film come l’ormai conosciuto antieroe che si fa un po’ gli affari propri, ma che alla fine i veri cattivi li ammazza sempre. E infatti Manni e Medina troveranno piombo per loro. Tutto si complica e cambia le direttrici, quando finalmente si scopre il motivo della costante presenza di Borelli alle calcagna di Hunt Powers: questi gli ha ucciso il padre tempo fa. Ecco che la burla della vita torna a cambiare le carte in tavola conferendo al film di Fidani quel valore aggiunto che lo rende giustamente uno dei suoi titoli migliori.

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