Regia di John Ford vedi scheda film
Non ci vuole molto per capire che ci si trova davanti a un capoalvoro del grande Ford, evidentemente a suo agio anche al di fuori del genere western. E’ un film intenso e lirico, ricco di immagini e scene di grande forza e impatto. Il ritratto dell’America delle depressione è senza pietà: vengono mostrati in particolare lo sciacallaggio operato dalle banche e lo sfruttamento attuato dai possidenti terrieri, che si approfittano dalla grande mancanza di lavoro. Il punto di vista, tuttavia, non è ideologico e didascalico, ma semplicemente molto umano. Decisamente riuscito è il ritratto della famiglia, sia come insieme che nei singoli membri. Del resto Ford ha sempre dimostrato nei suoi film grande sensibilità per il tema della famiglia, visto come il luogo degli affetti e della tradizione, dove, rimanendo uniti, si fa fronte e si superano le avversità della vita. Memorabile è il ritratto della madre del protagonista. Compare anche il tema del forte legame che i contadini hanno con la loro terra, contrapposto alle disposizioni disumane che i banchieri impongono con le loro scartoffie. Rispetto agli altri film del grande guercio, mancano momenti di commedia. Forse c'è solo un passaggio vagamente umoristico: il tizio che invita a ballare la bruttina ultimo campo del viaggio.
Alcuni momenti di grande cinema: la demolizione della casa, la mamma che brucia i ricordi nella stufa con il sottofondo della canzone "Silver haired daddy", l'arrivo nel primo accampamento di disperati, l'arrivo in California, il fallimento della rissa programmata. Solo il monologo finale di Henry Fonda ha un vago sapore retorico e ideologico, ma è un piccolo difetto in cotanta perfezione. La versione italiana dell'epoca era stata sforbiciata in più punti (per farla stare nelle 2 ore degli spettacoli nelle sale?).
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