Regia di Greg McLean vedi scheda film
"Come possono ritrovarti se non sei mai scomparso?"... I flani pubblicitari di Wolf Creek mettono subito in guardia: "basato su una storia vera", proseguono. La "storia vera", in realtà, non è poi così vera: il soggetto del film, infatti, sviluppato nel 1997 esclusivamente in chiave slasher, venne riadattato in seguito ad alcuni raccapriccianti casi di cronaca nera venuti alla ribalta negli anni successivi. Come il caso di Ivan Millat (l'assassino dei saccopelisti, che insanguinò l'Australia negli anni Novanta, prima di essere arrestato e condannato all'ergastolo) o quello di Bradley John Murdoch (accusato dell'omicidio di un turista inglese, Peter Falconio, nel 2001, caso che costrinse i distributori del film a ritardarne il più possibile l'uscita nelle sale, dopo la presentazione al Sundance Film Festival e al Festival di Cannes, per evitare accavallamenti con il dibattimento processuale in cui era coinvolto l'imputato e per il quale verrà riconosciuto colpevole proprio un mese esatto dopo l'anteprima nazionale del film). Scritto e diretto dal semiesordiente Greg McLean (è, però, un corto nel 2001, ICQ, il suo reale debutto registico) con Non aprite quella porta di Tobe Hooper ben piantato davanti agli occhi, ambientato, in poco più di tre settimane di riprese, nelle locations mozzafiato del deserto dell'Australia Occidentale e Meridionale, descrive, in una prima parte sospesa tra road movie giovanile e minacciose avvisaglie di tempesta, la vacanza di due ventenni inglesi, Liz e Kristy (Cassandra Magrath e Kestie Morassi), che nel 1999, insieme a Ben (Nathan Phillips), un amico australiano che le guida (e non solo, visto il flirt che condividerà con Liz) verso il parco naturale di Wolf Creek, in cui si trova un imponente cratere di origine meteoritica, intraprendono un viaggio metaforico che parte verso il paradiso e sprofonda, poi, all'inferno. Improvvisamente, infatti, la loro auto ha un guasto al motore, gli orologi si fermano e il terzetto di protagonisti si ritrova bloccato nel deserto, di notte e sotto la pioggia: giungerà in loro soccorso l'apparentemente innocuo Mick (l'ottimo John Jarratt), che li trasporta con un carro attrezzi nella sua officina. Ma Mick non è innocuo: sotto i panni da contadinotto gentile e bonario ma con qualche rotella fuori posto, infatti, si nasconde proprio l'Uomo Nero, un sadico serial killer che trascinerà i tre inconsapevoli sventurati in un terrificante incubo ed un atroce bagno di sangue. Crudo, teso, efferato, Wolf Creek "esplode" con angosciante virulenza visiva nell'insostenibile crescendo di tensione che la prima parte del film ha apparecchiato sulla tavola imbandita dello slasher movie coi fiocchi: nonostante l'enorme e consueta mole di anacronismi ed errori di continuity che affliggono ormai da tempo l'intero genere horror, il film di McLean, magistralmente orchestrato nelle sue canoniche, e per questo ancor più raggelanti, evoluzioni narrative, riesce a farsi strada con straordinaria forza espressiva nella sanguinosa escalation di violenza e torture che si abbatte sui malcapitati protagonisti e che deflagra definitivamente nella spietata cattiveria di un finale tutt'altro che consolatorio. Macchina a mano, obiettivi ad alta definizione, montaggio serrato, omaggi a Mr. Crocodile Dundee e al Peter Weir di Picnic a Hanging Rock, lo smagliante iperrealismo cromatico della fotografia di Will Gibson a catturare con suggestive tonalità i tramonti infuocati e i cieli stellati delle notti nel deserto, la colonna sonora divisa tra sanguigno rock australiano (78 Saab, Daddy Cool, Col Finley) e le lugubri ed inquietanti dissonanze elettroniche composte da Frank Tetaz (più un trittico di hit firmate SystemBot), una veste spettacolare di smagliante confezione che traduce nella sontuosità stilistica gli umori più terrorizzanti della vicenda, compensando gli inevitabili buchi della sceneggiatura (conseguenza della commistione tra suggestioni reali della cronaca nera locale e fiction) e le cadute di tono dell'incipit (tipo qualche luogo comune di troppo nella descrizione delle varie tappe della vacanza dei tre giovani). La battuta migliore? Ovviamente, "Questo è un coltello...".
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