Regia di João Pedro Rodrigues vedi scheda film
João Pedro Rodrigues è il regista delle solitudini “diverse”, lambite, e a volte aggredite, dalla crudeltà di amori impossibili. Odete è una giovane donna, che vorrebbe tanto un figlio, ma viene abbandonata dal suo compagno. La morte di un vicino le offre l’occasione di entrare in un dolore che non le appartiene, per trovare un posto in cui ricevere amore. La sua tragedia è abbracciare disperatamente l’inesistente: quella relazione affettiva col defunto, che non è mai avvenuta, e quel bimbo che non ha potuto concepire, e che pure è convinta di portare nel grembo. L’attaccamento al nulla è, per definizione, privo di limiti, e quindi può divenire subito totale, incondizionato, disperato. E, non poggiandosi su alcunché di reale, si nutre voracemente di feticci: un anello di fidanzamento, una tomba, il corredino per un neonato. C’è un sentimento che non supera la morte, per il semplice motivo che vive solo dentro di essa, senza nessun legame con la vita vissuta; ed è, per questo motivo, assurdo come la follia, però invincibile come l’eternità. Quella di Odete è una splendida pazzia, che interrompe la banalità di un’esistenza futile e frustrante per tuffarsi nell’ignoto, in quella cecità, di stampo religioso, che crede e rimane fedele anche senza conoscere. La ragazza si getta sulla bara di Pedro, si corica sulla sua lapide, per allargare il suo essere verso la sua metà mancante, che è meglio non sia un uomo in carne e ossa – come quell’Alberto che l’ha delusa – bensì una creatura estesa verso l’infinito, quel regno che comprende, tra le sua verità, anche quella dell’immaginazione. L’isteria femminile è un concetto antico, che questo film ripropone in un contesto contemporaneo, liberandolo dalle tradizionali connotazioni esoteriche, per restituirlo in una rinnovata veste letteraria, nella quale la psicanalisi incontra la poesia. La malattia di Odete è fantasia creatrice, è una gioia alienata che inventa situazioni, cose e persone per colmare un vuoto. La sua espressione è il desiderio che si fa presenza, e si manifesta come un fantasma: lo stesso che, nella precedente opera di Rodrigues, si aggirava per le strade alla ricerca della propria identità sessuale, e che ora ricompare, come proiezione di una maternità appassionatamente inseguita, eppure concretamente irraggiungibile. A trasformare l’ossessione individuale in un dramma collettivo interviene qui un pirandelliano gioco delle parti, mescolato ad un così è se vi pare, in cui l’illusione plasma il mondo a sua immagine e somiglianza. Odete diffonde, intorno a sé, la magia allucinata di cui è vittima ed autrice. Gli altri personaggi – la madre ed il compagno di Pedro - inizialmente, si ribelleranno, ma poi cederanno all’incanto contenuto in quella promessa di rinascita: l’arrivo di un nipotino, il ritorno in Terra dell’amico scomparso. Il sogno fantastico, per quanto inverosimile, finisce per avere la meglio sull’incubo reale, per quanto questo sia basato su un’atroce evidenza, e quindi risulti apparentemente inestirpabile. L’utopia è contagiosa, soprattutto quando, come in questo caso, non si riduce ad un astratto contenuto ideologico, perché è l’intensa emanazione di un’anima che soffre: con Odete questo luogo che non c’è entra nella sostanza del corpo, così profondamente da farsi pulsione sessuale ed istinto riproduttivo. Nulla è in grado di frenarlo, soprattutto laddove il dolore ha messo a tacere la ragione, tramutando il tempo in un deserto in cui è facile smarrirsi.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta