Regia di Emmanuel Carrère vedi scheda film
La pellicola che tratta un tema “ambiguo” e interessante, quasi kafkiano nelle sue implicazioni esistenziali, è stata realizzata con estrema intelligenza. Tutto concentrato sulla labilità dell’apparenza, il film è una evidente “provocazione intellettuale” messa a segno con sagace acutezza dal regista .
Premesso che non si tratta precisamente del tipo di cinema che mi fa andare in sollucchero (o come si dice qui a Firenze “in brodo di giuggiole”) devo riconoscere che ci troviamo di fronte a una pellicola realizzata con estrema intelligenza che tratta un tema “ambiguo” e interessante, quasi kafkiano nelle sue implicazioni esistenziali, tutto concentrato sulla labilità dell’apparenza, una evidente “provocazione intellettuale” messa a segno con sagace acutezza dal regista Emmanuel Carrère (una delle personalità di maggior spicco nel panorama culturale della Francia contemporanea) anche autore della storia da cui trae origine la “rappresentazione in immagini” di questa progressiva perdita di identità, che è anche un viaggio all’interno di una nevrosi che rasenta la paranoia, capace di mettere in discussione ogni più riposta certezza e a rompere ogni equilibrio, aprendo così la strada all’angosciante distruttività del “nulla”. Distrattamente buttato allo sbaraglio in estiva (e in piena frenesia per i mondiali) da una distribuzione come al solito miope e poco coraggiosa, probabilmente questo “La moustache” non riuscirà ad avere la “visibilità” che meriterebbe da parte di un pubblico ormai latitante e in tutt’altre faccende affaccendato, ed è un vero peccato, vista la “qualità “ della realizzazione, le intriganti implicazioni del racconto “senza storia” che è anche in buona parte uno specchio delle ansie e delle insicurezze che ci attanagliano opprimendoci, e l’ottima resa degli interpreti. Un plauso particolare va a Vincent Lindon, protagonista “tragicamente” impassibile che rende accettabile il paradosso. Una resa attoriale di gran classe la sua, con una recitazione “in sottrazione” che solo i grandi talenti sanno produrre, davvero di eccezionale “fascino e pregnanza” (questa sì di mio pieno gradimento) dove assume l’importanza del valore assoluto anche un semplice inarcamento delle sopracciglia, un leggero fremito delle labbra, o l’attonito lampo di diffidenza che attraversa veloce lo sguardo, “attimi fuggenti” e quasi impercettibili, ma sufficienti a rappresentare lo spiazzamento disadattato di una crisi personale che diventa ossessione. Gelida e tagliente come un bisturi e tecnicamente ineccepibile, la mano del regista.
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