Regia di Eran Riklis vedi scheda film
Il matrimonio quando non lo si scompone in scene di un amore tradito, trascurato e finito rimane un ottimo dispositivo per commedie brillanti. Nel cinema contemporaneo la dimensione etnica è una variante, ormai usurata, del filone. “Grosse e grasse” unioni tra culture conflittuali non sono più l’eccezione, la sorpresa. In questo caso, però, l’arguta sceneggiata dell’assurdo (politico-burocratico) si installa intorno alle frontiere calde del Medioriente. In un villaggio delle alture del Golan, occupato dagli israeliani nel 1967, una giovane donna che appartiene alla minoranza drusa è promessa sposa (il matrimonio è combinato) a un uomo che vive in Siria, a Damasco, ed è un personaggio popolare della Tv. Il convolare a nozze significa per la protagonista anche l’impossibilità di rientrare, per sempre, nel suo villaggio. È un addio al nubilato e alla famiglia, agli amici, alle tradizioni, al proprio paese, alle proprie abitudini. Un salatissimo biglietto di sola andata. L’addio è reso paradossale dall’ottusità e dalla rigidità insensata dei due fronti, dagli stupidi balletti di timbri e permessi. L’umorismo non cancella le sofferenze e le contraddizioni del potere dei confini.
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