Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Nella fascia d'età fra i sedici ed i ventun'anni mi sono sentito come Paul Hackett in più di un'occasione: giornate routinarie passate un po' a studiare per l'interrogazione del giorno dopo ed un po' a trastullarmi fra mille attività ricreative una più inconcludente dell'altra (o i primi tempi dell'università, con mesi di clausura per imparare a memoria trattati di anatomia o di biochimica da migliaia di pagine l'uno). Dunque la sera inoltrata diventava da una parte lo specchio dello stress diurno (sonno scarso, voglia di evasione dalle mura domestiche) e dall'altra una lente d'ingrandimento su di una faccia nascosta della città. Tutto comincia da una ragazza (Rosanna Arquette, che in quegli anni avrebbe potuto far convertire il papa alla Chiesa di Satana) che nota Tropico del cancro (circostanza STRAORDINARIA e che merita di essere sfruttata anche se i programmi erano altri) e tenta un approccio con frasi avvolgenti ("Me lo sentivo che eri un tipo speciale. Spero che domattina tu non debba alzarti presto, perché mi sembri una persona con cui poter parlare. E stanotte mi sento come se dovessi scatenarmi. Mi sento come se dovesse succedere qualcosa d'incredibile. Sono così eccitata e non so perché."). Poi però arrivano i segnali di stranezza, un po' immaginari (la bruciatura che in realtà è un tatuaggio) ed un po' no (il libro sulle ustioni, il racconto allucinato della prima notte di nozze, la crisi di pianto immotivata), che sommate ai propri traumi infantili (l'intervento alle tonsille) portano al tentativo di fuga. Ed è qui che piccoli imprevisti (il prezzo del biglietto aumentato, la cassa che non si apre, la ragazza morta suicida, il duo di ladruncoli, il tassista con lo sguardo da folle) fanno degenerare il tutto in una baraonda di situazioni limite che portano il povero Paul alla disperazione ("Ho avuto una notte davvero orrenda. E non riesco più a trovare una persona che parli con me senza urlarmi o peggio."), con una folla inferocita che minaccia di linciarlo pubblicamente. Così, quando sembra aver toccato il fondo (intrappolato nella statua che ha la stessa forma di quella fatta da Kiki), viene rigettato in quella stanca routine da cui tutto era partito, che ora appare una nicchia di sana monotonia rispetto al delirio appena trascorso. È la naturale evoluzione, seppur parzialmente alleggerita, delle analisi antropologiche intraprese da Scorsese negli anni precedenti: un tessuto urbano malato, che sotto una facciata da ingranaggio ben oliato nasconde le tane dei ratti, dove chiunque può perdersi e finirne divorato. Ma ha anche il pregio, dopo un capolavoro come Taxi Driver, di essere in un certo senso post ideologico: nessun proclamo politico, nessuna denuncia sociale diretta, nessuna incursione nella spiritualità, ma solo una lucida concatenazione di eventi uno più assurdo dell'altro, costellati da personaggi irresistibili (il barista gentile, i due artisti sciroccati, la solitaria scultrice di mezza età, la cameriera con le trappole per topi intorno al letto, la gelataia irritante). Un film ottimo nella gestione del ritmo e del tono, in grado di far ridere pur insinuando un certo grado d'inquietudine e che non mi stanco mai di rivedere con grande affetto.
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