Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Ci sono due Kim Ki-Duk. Quello creativo, poetico e filosofico di Soffio e Ferro 3. E, purtroppo, quello superficiale e prevedibile di Time e La Samaritana. In quest'ultimo, davvero, il coreano perde la bussola, in balia di un copione che definire ondivago è quantomai limitativo. Parte come una tenera lesbo-love-story, nonchè elogio all'ingenuità adolescenziale, e finisce con un pover'uomo in preda a barbari raptus vendicativi. La vicenda è improbabile, ma questo non è ovviamente il problema del film. Tanto cinema coreano o cinese o giapponese racconta vicende al limite del ridicolo (e talvolta ben oltre), ma nei casi migliori una regia inventiva riesce a riscattare il copione e a trasmettere emozioni intense e contenuti profondi. Ci è riuscito anche Kim altrove, ma non qui, dove manca una qualsiasi idea estetica in grado di trasfigurare, infondendone spessore, una sceneggiatura strampalata. Rispetto a Time, però, nella Samaritana c'è perlomeno un finale convincente, apertamente metaforico, ma non privo di poesia. Troppo poco però per salvare il film.
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