Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Peccato, redenzione, vendetta, perdono e espiazione. Queste le tematiche che attraversano l'ennesimo grande film del regista coreano, forse il suo film, fra quelli che ho visto, meno simbolico, più diretto. Un melodramma adolescenziale, a tratti svagato nella prima parte, leggero e volatile, che acquista in forza mano a mano che la vicenda si dipana, fino a quella meravigliosa mezz'ora finale (la "sonata"), così struggente, malinconica, solitaria, definitiva. Ancora un'ora e mezza senza sbavature (o quasi) di un Ki-Duk agli inizi della carriera, dove in una storia minima di piccoli squallori borghesi, s'inseriscono le inquietudini di due adolescenti, il loro sguardo leggero su un mondo grigio e decadente, ma come già successo, per esempio, in "Ferro 3", il film poi cambia passo e registro, fino a entrare nel profondo dell'animo umano. Un film che parla alla società coreana ma un film che parla, principalmente, a tutti noi, alla necessità del perdono e della tenerezza. Una meraviglia.
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