Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film
Sto cercando, da quando ho visto questo film, di esprimere la bellezza che mi ha trasmesso, la bellezza dell’amore scelto liberamente per gioco, senza condizionamenti (la prima parte), poi la bellezza dell’amore commemorativo che ricalca le orme del passato per chiudere un qualcosa che è rimasto sospeso a livello personale (nella seconda parte) e infine i condizionamenti che vive l’essere umano nello schema sociale a cui appartiene che lo porta a stare male e a non capire fino alla follia (terza parte).
Anche dal punto di vista narrativo e formale il film mi ha comunicato un'intensa bellezza. Kim Ki-duk trasforma il film nell’evolversi della storia. All’inizio i dialoghi sono onnipresenti, il discorso è molto leggero e vagamente trasgressivo perché si condanna la prostituzione minorile quando è indotta, ma nel film la protagonista ama per libera scelta e ama pienamente perché vuole conoscere gli uomini con cui va a letto, anche se superficialmente. Nella seconda parte i dialoghi cominciano a diventare più radi, subentra la figura del padre e la riflessione della società, il peso dell’apparenza, ma anche la condanna di chi approfitta dell’ingenuità giovanile. Non so se possiamo davvero parlare poi di ingenuità giovanile: la figlia si prostituisce perché sta rivivendo quello che ha vissuto la sua migliore amica, un attaccamento quasi morboso al ricordo di lei le fa ricalcare i suoi passi e secondo me ha ben presente quello che sta facendo, lo fa deliberatamente proprio come la sua amica. Mentre il padre non capisce la ragione di tutto questo e impazzisce, non affronta la figlia (grave errore di comunicazione, perché non cerca di comprendere il suo punto di vista, ma vive solo il proprio punto di vista e la sua condanna – che nasce dall’istintiva difesa dell’uomo per la sua prole), ma decide di affrontare chi va a letto con la figlia di persona e di farli “ragionare”. Il contrasto drammatico della seconda parte, che secondo me è riuscito benissimo, è il comportamento distaccato e lascivo dei clienti e il “sacrificio” nel nome di un amore universale più grande della ragazza che di volta in volta suscita reazioni differenti.
Nella terza parte i dialoghi diventano pressoché assenti e si ritrova lo stile più affine a Ferro 3, con immagini e situazioni simboliche che vogliono esprimere in sostanza l’idea complessiva del sottotitolo del film: “chi è senza peccato scagli la prima pietra”.
Cosa mi spaventa di una pellicola del genere? L’assoluto relativismo, cioè potremmo giustificare tutto se riconosciamo in ogni azione i vincoli sociali e i valori etici che ci appartengono. Ma sono valori assoluti? Accettata la relatività di ogni azione e l'esistenza di valori etici assoluti (che condannano l'ammazzare, lo stuprare e qualsiasi forma distruttiva della specie umana), come possiamo prendere una posizione ben precisa?
Indurre un minore alla prostituzione è inaccettabile (anche se ultimamente sembra che non conti nulla) perché è una forma di violenza, su questo penso si possa essere universalmente d’accordo. Ma se il minore sceglie di farlo di sua spontanea volontà (ammettendo che questa spontaneità non sia legata a un contesto di degrado sociale o a una reazione legata a spiacevoli avvenimenti), è giusto dire che è colpa della famiglia, della società che lo ha abbandonato? O dobbiamo accettare che l’uomo – contro natura – ha deciso che lo sviluppo sessuale deve frustratamente essere accantonato per anni rinunciando alle proprie pulsioni? E soprattutto, le pulsioni sono tutte negative?
La bellezza di questa pellicola, infine, l'ho trovata nelle riflessioni suscitate che probabilmente non hanno un'unica risposta.
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