Regia di Bertrand Tavernier vedi scheda film
Sarebbe stato utile che tutti gli italiani, in occasione del Referendum scorso, fossero andati a vedere il nuovo e bellissimo film di Bertrand Tavernier, La piccola Lola, forse per tale motivo è in sala solo dallo scorso ultimo fine settimana. Ma non è mai troppo tardi, visto che si tratta di un film da non perdere, potrebbe essere un modo per riflettere sulla grande opportunità di cui ci si è privati non andando a votare anche per un problema come quello affrontato in questo film.
Dopo le polemiche suscitate dal precedente Laissez-Passer, Tavernier, seppure tra fiction e realtà, racconta la storia di Pierre e Geraldine, una coppia d’oltralpe, abitanti di un paesino lontano dalla città. Nella loro semplicità hanno un sogno particolare e profondo: il desiderio di adottare un bambino della Cambogia. Le trafile infinite a cui sono sottoposte le coppie francesi, ma anche quelle provenienti da ogni parte del mondo (anche dal più ricco Occidente) per ottenere un’adozione sono estenuanti, e la permanenza di sei mesi in quel luogo alla ricerca del figlio agognato.
Straordinario il lavoro del regista francese che lascia parlare gli attori, prevalentemente non professionisti. Il film pecca un po’ in lungaggine e la narrazione, sebbene scorrevole, soffre di un didascalismo e francesismo di maniera. Terribile l’immagine del popolo e della terra cambogiana a cui dà adito il film: dove tutti sorridono, ma avendo già il cuore spezzato, con la povertà, la corruzione e i favoritismi a chi ha il potere, i bambini negli orfanotrofi e per le strade, sembrano rappresentare l’unica realtà di quella parte di mondo.
Il tema trattato, molto attuale in Italia, oggetto di pochissime discussioni, seppure in occasione di un Referendum importante, in questo film si ripropone e ci porta ad avere gli stessi desideri e sofferenze della coppia che desidera adottare il bambino. Senz’altro si tratta di un tema non facile, quello dell’adozione, molto raro al cinema, e perciò trattato con il giusto equilibrio emotivo, da un regista che sa dosare i sentimenti, senza eccessi, dosando lo stesso ritmo del film, comunque incalzante e ben accompagnato da una colonna sonora altrettanto interessante, tutta affidata allo strumento che per antonomasia è quello che dà l’immagine delle corde che vibrano (non solo quelle del contrabbasso, ma soprattutto quelle dell’interiorità di chi guarda).
Non mancano momenti in cui l’humour cerca di risollevare i due sfigati protagonisti del film, a botte di sigarette, griffate Alain Delon, che offerte ad una donna rinuncia perché “io non fumo mai gli attori”. Ma si tratta di un umorismo che lascia il tempo e lo spazio che trova, perché costretto ad essere soffocato dalla tristissima realtà di coppie che non sanno quale bambino prendere, per il colore della pelle, perché ammalato di Aids, perché ha le macchie sul viso, di contro a chi ne vorrebbe uno qualsiasi. Pur di avere un figlio. Invece bisogna aspettare perché gran parte di quei bambini cambogiani sono “riservati per i cataloghi americani”, per lo stupro a cui vengono sottoposti molte volte da un certo turismo proveniente dai cosiddetti “paesi civilizzati”; quindi, se ne avanza qualcuno, magari rifiutato da qualche altra coppia, allora sarà possibile sperare.
Insomma, nonostante il lieto fine, l’immagine dell’adozione uguale corruzione è l’unica che si deposita nell’animo dello spettatore: quell’armonia ch’è fatta di pianti e canti, di cui già scrisse Hugo.
Giancarlo Visitilli
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