Regia di Pawel Pawlikowski vedi scheda film
Ennesima riuscita distribuzione del barese Domenico Procacci e della sua Fandango, My summer of love, premiato ai BAFTA e ad Edimburgo, sta riscuotendo il meritato successo ai botteghini italiani, nonostante le mostruose chiusure estive delle sale: una sorta di saluto forzato alla cultura, che a detta di molti gestori evidentemente anche questa (la cultura, non solo cinematografica) ha bisogno di ‘riposo’.
Il film del polacco Pawel Pawlikowski (alla sua seconda prova di regia, dopo Last Resort, anch’esso premiato ai BAFTA e al Festival di Edimburgo nel 2000), tratto dal romanzo di Helen Cross, racconta, durante un’estate particolare, la storia della rossa proletaria Mona, che vive in un paesino dello Yorkshire insieme al fratello Phil, da poco convertitosi al cristianesimo più estremo e che per questo ha trasformato il pub di famiglia in un luogo di culto. All’inizio dell’estate la ragazza incontra Tamsin, sua coetanea, ricca e viziata, che sta passando le vacanze nella regione. Tra le due nasce una forte amicizia, che, nel breve volgere dell’estate, le porterà verso strade molto diverse. E’ affascinante constatare come il film sia ambientato in un’epoca che potrebbe essere oggi come vent’anni fa; il modo in cui il regista combini in un’unica opera la commedia, il dramma e tracce di soprannaturale.
Pawlikowski caratterizza nel giusto modo i suoi personaggi: Mona é una ragazza introversa e solitaria, che cerca nella natura il rifugio nel quale sentirsi a suo agio. Tasmin, da parte sua, è una ricca, borghese e viziata, che s’invaghisce della selvaticità di Mona e che la ammalia con il suo mondo, fatto di sensualità, spavalderia, cultura raffinata ed un dramma che la ossessiona.
Interpretato con maestria e naturalezza da due giovani debuttanti, Nathalie Press ed Emily Blunt, affiancate da Paddy Considine, My summer of love non è il racconto di un amore lesbico, non è neanche quello che già in altri film recenti (Heavely Creatures e Thirteen) abbiamo visto, ma una sorta di consapevolezza secondo la quale, almeno poche volte nella vita, la forza interiore supera il ceto sociale e un certo fanatismo religioso, convinto che il diavolo prenda possesso, in casi di forti sentimenti tra persone, purchè dello stesso sesso. L’unione sentita dalle due adolescenti diventa per entrambe salvifica, diversamente dalla fede di Phil, eccessivamente pericolosa ed estremista, fatale.
Il contrasto tra realtà e immaginazione è ben descritto da una fotografia (del connazionale Lenczewski) che dipinge ora la brughiera sconfinata e sempre assolata: un luogo mentale, prima che fisico, di contro allo spazio chiuso e opprimente della piccola cittadina.
Di suo il regista insiste con le zoomate a distanza, poi ravvicinate, che sembrano muoversi con lo stesso ritmo del respiro delle protagoniste. Anche la musica qui, attraverso le violoncellistiche arcate di suono di Saint-Saёns, coadiuva a creare una sorta di ieraticità sospesa e religiosa, che ha la sua massima espressione nella panoramica sulla grande croce lignea ancora scomposta.
Tanti, poi, i rimandi evidentemente cinefili: dalla spregiudicatezza alla Jules et Jim all’elemento dell’isolamento amoroso di Mona e Tamsin, degno dell’ultimo Bertolucci (The dreamers), passando addirittura per L’esorcista.
Attraverso il bel film My summer of love, quindi, assistiamo ad uno svuotamento spirituale, per ritrovarci tutti, attori e spettatori, dinanzi all’unico interrogativo di sempre, Dio è morto?, “è solo questa la realtà” sulla quale c’è da riflettere anche stando sotto l’ombrellone e vivere ognuno la “propria estate d’amore”.
Giancarlo Visitilli
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