Regia di Alexandre Aja vedi scheda film
Prodotto da Luc Besson, Alta Tensione è un horror d'oltralpe che declina con cruenta originalità la collaudatissima formula dello slasher & splatter targato '80. Dopo anni di digiuno, è il primo efficace sostanzioso significativo felice segno del ritorno al passato, quando l'horror sapeva ancora osare e metteva davvero paura, quando i mostri non erano ancora macchiette, quando l'oriente con i suoi fanciulli rancorosi, le sue donzelle dalla lunga chioma corvina e il suo terrore astratto non aveva ancora travalicato i confini del nostro universo orrorifico, fatto principalmente di carne e sangue, soppiantandolo. Con Alta tensione si ritorna al 'concreto', a toccare con mano lo sfacelo dei corpi sotto i ben assestati colpi di asce, rasoi, seghe elettriche e mobilia (vedere per credere), si torna a tremare e a trattenere il respiro, ad impregnarsi nuovamente e pesantemente di rosso, ad essere brutalmente scaraventati in quello che è un vero e proprio teatro del massacro, da dove nessuno (o quasi) esce vivo. Il film del giovane esordiente Aja non è un ricalco privo di nerbo delle 'vecchie glorie' di celluloide ma la sua felice rielaborazione; sa vivere di vita propria,trasuda tensione ed angoscia spesso insopportabili, mantiene alta l'attenzione per l'intero districarsi del racconto - secco, veloce, minimale, crudo, viscerale, perverso, malato -, capace di strappare risate di gioia e soddisfazione a quegli amanti dell’horror intristiti e nostalgici. Opera solidissima e per niente scontata, che va ben oltre la classica rappresentazione del solito (mica tanto) serial killer che trucida un'intera famiglia (omaggiando il bel Léon), risparmiandone, però, la figlia maggiore e la sua amica, miracolosamente sfuggitagli (!), la quale condurrà con lui un lungo, spasmodico, grandguignolesco corpo a corpo letteralmente fino all'ultimo respiro. Alta tensione fa dell'immagine il suo punto di forza se non la sua essenza; manipola l'apparenza, se ne serve per celare la verità che le sta dietro. È puro linguaggio cinematografico, sapientemente adoperato per tradurre visivamente uno stato mentale profondamente alterato, scisso. Per molti un grande bluff, tanto è astutamente fuorviante ed ingannevole, per altri (compreso chi scrive) assolutamente geniale. Un colpo da maestro. Le incongruenze fanno parte del gioco, per cui la logica totale che la razionalità impone (in un contesto horror oltretutto) non ha ragion d'essere. Si nutre di ambiguità ma semina indizi. Sa condurci fuori binario per poi riprenderci, a domandarci quanto sia labile il confine tra realtà oggettiva e ciò che i nostri occhi riconoscono per vero.
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