Regia di Ahmet Ulucay vedi scheda film
Siamo nella Turchia più profonda e arcaica.
Recep è un ragazzo che sbarca il lunario vendendo angurie in un baracchino al centro di un piccolo paese assolato, affacciato sul Mar di Marmara, a due ore di strada da Istanbul.
Coltiva due sogni: fare cinema e conquistare la sdegnosa Nihal, una bellissima coetanea inaccessibile per la sua avvenenza, una superbietta che non si abbassa a considerare un contadino ignorante e spiantato come lui.
E immagina, con vagheggiamenti adolescenziali, di realizzare i due sogni in un colpo solo, convinto che se riesce a diventare “regista”, la bella Nihal potrebbe cadere ai suoi piedi.
Ha un amico, Mehmet, che fa il garzone apprendista di barbiere.
I due hanno messo insieme un film montando scarti di pellicola recuperati fra i rifiuti di una sala cinematografica; per vedere e mostrare il film hanno anche costruito un inverosimile proiettore utilizzando materiale di scarto: legno, cartoni, ventole, torce, batterie, ...
Recep fa il motore: snoda il rullo, tirando a mano la pellicola e tentando di far passare 24 fotogrammi al secondo; Mehmet fa l’otturatore sventolando forsennatamente le mani davanti al fascio di luce e cercando di sincronizzarsi con lo scorrere della pellicola.
Quando non è impegnato col cinema, Recep studia il modo per superare le difese di Nihal: ogni giorno, pur di ronzare intorno alla ragazza, porta alla madre vedova di Nihal le scorze delle fette d’anguria da dare ad una scheletrica mucca. Riesce così a guadagnare la riconoscenza della mamma di Nihal e a conquistare l’ammirazione della sorellina, ma l’oggetto dei suoi sogni, irremovibile, continua a ignorarlo.
Il film può essere considerato autobiografico: Ahmet Ulucay, il regista cinquantenne, ha impiegato qualche anno a finire il film, l’ha girato in MiniDV con una macchinetta amatoriale, a costi ridottissimi, e ha usato come attori i suoi amici e la gente del paese.
Le inevitabili imperfezioni tecniche del film diventano pregi: alcune sfuocature da filmino amatoriale, i movimenti di macchina e il colore vintage sottolineano l’autenticità del prodotto; la schietta spontaneità degli attori lo rendono credibile; nel film spira l’aria seducente del miglior neorealismo.
L’opera, pervasa da uno struggente amore per il cinema e attraversata da una vena di nostalgia, ricorda Nuovo Cinema Paradiso: ma mentre il film di Tornatore nella seconda parte scade nella melensaggine, qui il lirismo non ha flessioni, la schiettezza resta viva, il fascino intatto.
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