Regia di Lewis King (Luigi Capuano) vedi scheda film
Cavalcando la falsa riga di uno dei titoli di lavorazione di “Per Un Pugno di Dollari”, il mestierante Luigi Capuano dirige Glenn Saxson nel suo penultimo western, prima di apparire come solo comprimario in “Il Lungo Giorno del Massacro”. Il film è molto interessante. Nonostante una confezione non di alto livello, comunque non puerile come i film dozzinali che annacquavano il nostro genere, il film ha saputo creare una sensazione di rabbia repressa nello spettatore come nei vari protagonisti (Luis Induni, Glenn Saxson e Fulvia Franco). Dopo il massacro che distrusse la famiglia Lopez, El Desesperado (i “Desperado” di Andrea Giordana e di Robert Rodriguez non esiste in lingua spagnola), inizia a difendere i messicani oppressi dai rancheros del luogo protetti dal giudice Wilkins, padre della ragazza che lo ama e che lui corrisponde. Questi rancheros sono capeggiati dal clan degli Stark. Uno, Jimmy (Riccardo Pizzuti, quello che perde i denti nei film di Bud Spencer e Terence Hill, come dice mia madre), viene allontanato dal paese per un fatto di sangue. I messicani vorrebbero giustizia, ma il Giudice asseconda gli Stark. Sarà allora El Desesperado, conosciuto pure come “il Magnifico Texano” a fare giustizia. Così, preoccupati per la piega che sta prendendo la situazione, il Giudice e Blackie Stark (Massimo Serato) avviano una campagna diffamatoria verso il giustiziere mascherato. Si avvalgono anche del mite sceriffo Luis Induni, che però sa bene che non sta facendo la cosa giusta. Tra i messicani pure Glauco Onorato.
Il bello del film di Capuano, lungi dai passaggi pressapochisti o immersi nel melodramma da operetta che stonano con la frontiera sul fondo, è la controversia tra legalità e giustizionalismo. Viene infatti perpetuata per tutta la durata del film l’ambiguità del concetto di legge. C’è chi vuole rispettarla, c’è chi vuole il linciaggio, c’è chi vuole giustizia e basta, c’è chi abusa della legge e la gira a proprio favore, come il Giudice e il Clan degli Stark. In questi due personaggi vengono rappresentati al meglio la corruzione e la deformazione di democrazia primitiva che interessava le prime comunità dell’ovest americano. Massimo Serato ha una faccia da tiraschiaffi, ambiguo, prepotente, fascista. Mentre il Giudice Wilkins è grasso, e come tale rappressenta per contrasto la dantesca lupa magra e rinsecchita che simboleggia l’avarizia. Ma anche lui, il Giudice, è lì a testimoniarci come il potere costituito, una volta appunto istituzionalizzato e legalizzato, si allontani dal popolo e dalla giustizia per far girare la ruota della vita, dei lussi e dei privilegi verso il proprio mondo sociale, verso la propria casta. E magari sono proprio gli stessi che non credono più nella divisione classista della società, e che affermano che la lotta di classe ormai è finita. Loro invece perpetuano diabolicamente un’autosegregazione esclusivista. Luigi Capuano opera così un’impietoso ritratto della legge e dei giustizieri: i primi annientati da una vocazione classista che sfocia nel regime repressivo; i secondi annientati da un idealismo che perde di eticità nel momento in cui si scontra con la violenza generata.
Non è un capolavoro. Non è un film che definisce puntualmente né una riflessione sul genere in quanto tale né sulla controversia tra legalità e giustizionalismo. Riesce però ad evocare il dramma fatalista, e con alcune idee visive sa piacere anche iconograficamente. Su tutti si distingue Luis Induni. Nel suo mite sceriffo ci sono i segni dell’esperienza western che né Glenn Saxson né altri hanno. D’altro canto Massimo Serato, accreditato qui con l’improbabile nome di John Barracuda!, ha fatto 6 SW in ruoli in cui l’eleganza del personaggio o era legata alla negatività del lusso, o alla positività della nobiltà. Ma mai credo sia stato un’incarnazione pura della westerness. Fatto sta che “Il Magnifico Texano”, nonostante alcuni inciampi è un film che merita di essere visto e rivisto.
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