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Amatemi

Regia di Renato De Maria vedi scheda film

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giancarlo visitilli

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La recensione su Amatemi

di giancarlo visitilli
4 stelle

Ricordare l’interessante suo primo film sugli anni Settanta, Il trasloco, ma anche il più vicino a noi, Paz! (2002), se messi al confronto nell’ambito del cinema “under 40” di oggi, con l’insopportabile “giovanilismo” che impera tra i fratelli Muccino, Infascelli, Veronesi, e giù di lì, difficilmente si può dire la stessa cosa del nuovo lavoro di Renato De Maria, Amatemi.
Il ritratto di una moglie infedele (Isabella Ferrari, la bella reginetta della fiction italiana targata Mediaset, moglie del regista)? La paura di perderla? L’evidente dimostrazione di un uomo che ha bisogno di dire ai quattro venti: “mia moglie è bbona”? Si, va bene. Ma tutto ciò cosa c’entra con il cinema (se si pensa addirittura al contributo ricevuto dal Ministero per i beni e le attività culturali)? Cosa c’è in questo film di culturale o di interesse per un Paese come il nostro, se non l’unica e sola verità che non si vuol ‘credere’: lo sfascio del nido famigliare e di una certa cultura che ancora predica la fedeltà coniugale?
Questi gli interrogativi, senza alcuna risposta, che ci si pone alla fine del film di un regista a cui ha fatto evidentemente male la tv (Distretto di Polizia, Doppio agguato).
La storia è quella di Nina, una commessa, che, lasciata dal marito dopo parecchi anni di matrimonio, precipita nell’isolamento e nella depressione. Ma, il giorno del suo compleanno, anche grazie all’aiuto di un amica, decide di far tabula rasa del passato, e di accettare le avances dei molti uomini che la sua bellezza le procura. L’ex marito, invece, rivedendo in tv La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlino, si è forse identificato nella crisi esistenziale di Alain Delon, ambientata in una piccola città sull’Adriatico, forse la stessa in cui la coppia vive.
La mediocrità caratterizza la pellicola, dall’inizio alla fine, pur essendo il film diviso in due parti: l’eccessiva pedanteria della figura di Nina, nella prima parte, e un ritmo più aperto, nella seconda, con dialoghi sciatti e improvvisati, qualche gag fuori luogo, da quella del vitellone Mastandrea, che pontifica sulle donne, all’amante sposato, Giallini, che lascia Nina, dopo una notte d’amore, intonando “Tanta voglia di lei” dei Pooh, ma più di tutte fa impressione il canto poco intonato di Isabella Ferrari della bella canzone “Bellamore”, di Riccardo Sinigallia (autore anche della colonna sonora). Il regista sembra che questo rappresenti il momento più alto del film, visto che anche il trailer con la Ferrari cantante ormai è un tormentone, tanto che tra un po’ si dirà che l’autrice della canzone è l’attrice, come un po’ di tempo fa “Aria sulla quarta corda” di Bach, appropriata a Piero Angela. Anche a questo “giova” la televisione e il cinema-televisione (ma esiste ancora qualche differenza?).
L’eccessiva psicologia della protagonista finisce per appiattire tutti gli altri attori, a cominciare dalla bravissima Donatella Finocchiaro, Pierfrancesco Favino e tutti gli altri, ridotti a poco più che comparse di contorno. Peccato, perché De Maria avrebbe potuto scavare di più almeno sulla contrapposizione, evidentemente studiata a tavolino, specie con il direttore della fotografia, fra i luoghi opprimenti di una città che si riversa e vive sempre e solo nei gelidi ipermercati, per trovare solo momenti solitari lungo i paesaggi marini.
Alla fine, malgrado tutto, l’unica risposta di cui ci si rende consapevoli è che Amatemi è servito a riportare la Ferrari sul grande schermo, dopo cinque anni d’assenza. Insomma, l’ammissione di un’indissolubilità che dura finchè il cinema non li separi. Si, va bene, Ma tutto ciò cosa c’entra con il cinema?
Giancarlo Visitilli

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