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L.I.E.

Regia di Michael Cuesta vedi scheda film

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La recensione su L.I.E.

di scapigliato
10 stelle

Il delicato film di Michael Cuesta è un piccolo gioiello. Gli si possono paragonare altrettanti capolavori a tema come Belli e Dannati (1991) e Mysterious Skin (2004) simili a L.I.E. per il tocco delicato, finanche poetico con cui raccontano non tanto la tensione omoerotica dei protagonisti, quanto l’adolescenza travagliata di ragazzi comuni, magari un po’ più difficili rispetto la norma, ma ugualmente comuni e ordinari, la cui tensione omoerotica è quella di tutti i suoi coetanei, con l’unica differenza che molto cinema la tace.
Tale tensione, tra l’affettivo e il sessuale, è poi il motore narrativo dell’intero film, così come altrove poteva esserlo una sfida sportiva, Voglia di Vincere (1985), la scoperta della morte e il passaggio di soglia, Stand By Me (1986) oppure l’avventura per diventare grandi, Un’Estate da Giganti (2011) piuttosto che un crimine da cui fuggire, Amanti Criminali (2000). I film sull’adolescenza ormai, dopo Roger Corman, sono diventati sia uno dei maggiori introiti dell’industria cinematografica sia uno dei mezzi preferiti per raccontare storie universali che toccano le corde emotive di ogni essere umano. Un po’ come il western che tratta indirettamente di un’età dell’oro ormai persa per sempre, ovvero l’adolescenza. L’adolescenza sia storica del mondo occidentale con i suoi slanci progressisti e la voglia di emancipazione da un padre o da una madre vecchi e superati, ovvero le vecchie monarchie e la vecchie concezioni borghesi di mondo, sia un’adolescenza più metaforica, ma ugualmente fisica e palpabile, quella esistenziale della condizione umana.
Qui, Michael Cuesta, supportato da un cast di bravissimi attori non ancora maggiorenni, tra cui spicca il protagonista, un bravissimo Paul Dano praticamente al suo esordio – se escludiamo la parte di contorno in The Newcomers (2000) dove esordiva pure Chris Evans – riesce a mettere in scena il tormento sessuale, ma anche affettivo ed esistenzale di un dodicenne che cerca il suo posto nel mondo.
Con la delicatezza di un osservatore distaccato, ma partecipe – che non è una contraddizione in termini, bensì la giusta distanza dello sguardo registico – Michael Cuesta ci mette letteralmente, camera alla mano, in mezzo alla turbolenza di un adolescente in piena crisi ormonale. Partecipiamo con lui all’attrazione erotica verso l’amico, marchetta e principe della seduzione, interpretato dal fascinoso coetaneo Billy Kay, al rifiuto verso il padre tangentista, alle scorribande nelle case dei vicini e infine partecipiamo con lui anche alla confusione sessuale e alla necessità di una figura virile vicina, che lo porta così ad avvicinarsi morbosamente a un orco pedofilo dal cuore buono interpretato con assoluta delicatezza da Brian Cox.
L’universo femminile è bandito dal film anche in termini linguistici. Sono solo due i personaggi femminili che conosciamo compiutamente: quello dell’ottuagenaria madre del pedofilo, una macchietta, e l’assistente sociale della scuola con cui Paul Dano ha diversi dialoghi. Per il resto le cheerleaders vengo inquadrate solo ad altezza seno o altezza gluetei, mentre la matrigna del protagonista la vediamo sempre mezza nuda senza mai scorgerla bene in volto: è solo un corpo con cui il padre si diverte in teatrini pornografici. Infine c’è la presenza eterea del ricordo della madre del protagonista, evocata a inizio e a fine pellicola, come a chiudere un cerchio, diventando così l’emblema simbolico di una femminilità mancante di cui Paul Dano, il piccolo Howie, sente così tanto bisogno da doverla metabolizzare fino ad essere lui stesso espressione di tale femminilità.
Anche la dolcezza con cui viene raccontato e presentato il personaggio dell’orco, un omone pluridecorato in guerra, agente del governo, classico esempio dell’America machista e militarista tutta macchine e pistole, conosciuto da tutto il paese e stimato e apprezzato cittadino, è una dolcezza strana, ambigua, quasi pacificatoria con cui si racconta di un uomo e non di un mostro, ipotizzando anche un altro aspetto di questa cruda realtà: che forse esistono ragazzini che davvero hanno bisogno e sentono fortemente crescere in sé il desiderio di un amore adulto e virile.
La scabrosità della pellicola è poeticamente aggirata con soluzioni narrative leggere e fluide e con scelte solo apparentemente moralistiche. In reatà sono svolte strettamente legate al realismo della vicenda e ammantano l’intera storia di una tenerezza letteralmente palpabile. Questo amore di fondo che tutto pervade delicatamente, non può comunque nulla contro l’insindacabile monito di dio che prepara l’uscita di scena, in chiave nemesi, del povero orco.
Ora tutti i bambini sono al sicuro e continueranno a chiedere le loro marchette indisturbati. Mentre chi è davvero sul ciglio di un precipizio – e il protagonista lo è anche diegeticamente all’inizio come a fine film – non sceglie la facile via della prostituzione, oggi diremmo escort, bensì sceglie l’istinto, sceglie l’amore e vive la sua vita come crede vada vissuta. È così che il tocco delicato e dolce di Michael Cuesta fa di L.I.E. un piccolo capolavoro.
Bellissimo questo scambio di battute che fa più o meno così:
- Si dice clitoride.
- No, clintoride.
- Be se lo hai visto a Clint Eastwood è sicuramente un cazzo.

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