Regia di Daniele Costantini vedi scheda film
In un grande stanzone spoglio un malavitoso (Pannolino) inizia la sua confessione dopo una lunga latitanza, davanti al giudice (Gullotta). A ruota, intervallati da brevissimi quanto rari stacchi con scene girate in esterni, seguono le confessioni dei suoi compagni di banda, vivi e morti, tutti riuniti nello stesso stanzone. La banda di cui si parla è quella della Magliana: Daniele Costantini, non contento di averne fatto una piece teatrale, mira ad azzerare la tolleranza del pubblico nei confronti del suo cinema dopo le prove imbarazzanti di Mezzaestate e Stress metropolitano. L'impianto teatrale rimane pressoché inalterato, i fatti raccontati sono più o meno noti - un gruppo di teppistelli invasati e collusi con l'estrema destra, decise di dare la scalata alla malavita romana verso la fine degli anni settanta, adottando i metodi propri della mafia - ma a questo si aggiunge una recitazione di livello parrocchiale (d'altronde tra gli attori compaiono anche alcuni detenuti di Rebibbia), la coprolalia ostentata, la parlata romanesca talmente calcata e biascicata da non essere affatto credibile. Nonostante questo, il copione di Costantini riesce ad essere al tempo stesso didascalico nell'impianto e confuso nella narrazione, oltre che ingiustificato nella scelta di cambiare i nomi ai personaggi.
Proporre un confronto con Romanzo criminale di Michele Placido sarebbe come azzardare un paragone tra Egidio Calloni e Maradona.
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