Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
Pochi registi italiani affermati rischiano davvero, ancora di meno sono quelli che possono permettersi il lusso di sperimentare. Gabriele Salvatores è uno di questi, perché le sue soddisfazioni nel corso della carriera se l'è tolte (compreso un Oscar concesso forse leggermente). Qui è alle prese con un giallo, genere che gli mancava finora, tratto dal romanzo omonimo di Grazia Verasani, incentrato sulla figura di una detective borderline che si scontra con gli scheletri dell’armadio della propria famiglia (la morte della sorella, avvenuta qualche lustro prima).
Film d’atmosfera più che di storia, perlopiù prevedibile e stereotipata, è un onesto esercizio di stile in cui Salvatores trova l’occasione per dire due o tre cosette: celebra la cinefilia come feticcio ed ossessione (cita Bertolucci, Truffaut, Lang, il noir); indaga sulle zone oscure di un personaggio narrativamente forte (che non a caso finirà in una serie televisiva) e le associa alle oscurità di una fotografia digitale, sporca, cupa (Italo Petriccione, come al solito); contamina il soggetto cinematografico con inserzioni musicali che esprimono i turbamenti della protagonista e l’intero clima del racconto (su tutte, Impressioni di settembre che dovrebbe provocare un diluvio di lacrime solo sulla fiducia). Angela Baraldi è brava ma acerba, dolente fino ad un certo punto e troppo incazzosa; meglio Luigi Maria Burruano, padre che incarna alla perfezione cosa voglia dire sofferenza repressa.
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