Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
Maggiori precisazioni intorno a un titolo che non mi è piaciuto molto: "Io non sono un ammiratore sfegatato di Salvatores (penso davvero che l'unico suo film che mi abbia pienamente convinto sia stato Io non ho paura, fatte salve alcune sbavature nella parte finale). Non nutrivo così molte speranze nemmeno per questa sua nuova opera (una imprevedibile escursione nel noir) che già dalle presentazioni, mi sembrava potesse essere etichettata semplicemente come un lavoro "su commissione" messo a punto con furbesca preveggenza “commerciale”. La conferma è risultata però ancor più negativa delle previsioni, soprattutto per i costanti rapporti “citazionismi” evidenti fino dal titolo stesso (a mio avviso con più di un pizzico di presunzione) che risultano a volte persino pretestuosi e tirati per i capelli, così talmente scoperti e “ricercati”, da finire per infastidire, creando semmai disappunto per tanta spocchiosa “spregiudicatezza”.
Io credo però che oltre ai tanti “prestiti” acquisiti e riprodotti anche come dotti “riferimenti” autoriali da Bertolucci a Lang, esista un’altra matrice di riferimento più specifica e diretta (sottaciuta) che sta alla base della costruzione un pò labirintica del percorso, perchè troppi sono i punti di contatto per essere involontari. Mi riferisco all’evidente “parallelo” con il bellissimo film di Martone, anni luce più denso e riuscito di questo, che risponde al titolo di L'amore molesto: una attenta analisi comparativa fra le due opere, dimostrerà inequivocabilmente che si sono semplicemente sostituiti i filmati vhs della sorella al vestito rosso della madre, in un “meccanismo” di indagine “a ritroso” che è praticamente analogo. Un percorso che l’interscambio dei rapporti parentali dei personaggi rende ancor più aggrovigliato e “torbido” ma che si sviluppa con molte linee convergenti e più di una simmetria, senza però riuscire a dissimulare del tutto la “somiglianza” proprio nelle modalità della “ricerca” e della scoperta (per lo meno da parte dello spettatore) della verità, che sostanzialmente non si discostano troppo l’uno dall’altro.
Ma in Salvatores purtroppo tutto risulta più scontato e superficiale, addirittura così prevedibile, che già prima dei titoli di testa io (che non posso certo considerarmi un intuitivo) ero riuscito ad immaginare con esattezza millimetrica quale sarebbe stato il ruolo del padre nella storia, e a capire fin dalla sua entrata in scena, la prevedibile “funzione” del personaggio affidato a Gigio Alberti e le sue “compromissioni” non solo sentimentali, con la protagonista e il suo entroterra familiare.
Tanto di cappello alla struttura tecnica del film, professionale e inappuntabile (ma questo è il minimo che si può chiedere a un regista come lui, o di siffatte pretese). Non si può invece concedergli l’attenuante di immaginare possibile la realizzazione di un film accettabilmente credibile in tutte le sue implicazioni comportamentali, soprattutto se affronta volutamente “il genere” (come nel caso in esame) senza appoggiarsi a una sceneggiatura senza screpolature (e che non sia nemmeno troppo compiaciuta e referenziale). Questo è in effetti è il peccato originale più evidente che inficia il risultato finale dell’opera, perché a mio avviso proprio per la sua artificiosità posticcia, non tiene sufficientemente conto di come è necessario operare per rendere davvero indimenticabile un noir degno di questo nome. Considerando che l’inadeguata scrittura del testo da illustrare vede anche la responsabilità diretta dello stesso regista, il peccato diventa mortale, né possono essere accettate digressioni compensative piene di frasi e situazioni compiaciute e a effetto, che irritano soltanto e allentano la partecipazione emotiva anziché aiutare il processo “identificativo” con la storia. A mio avviso poi è largamente difettosa e approssimativa anche la definizione psicologia dei personaggi che non va quasi mai oltre la banalità delle “convenzioni” (sensazione accresciuta da una resa attoriale non proprio ottimale). Si salva in parte solo la protagonista, ma più per la sofferta identificazione che la connota, rendendola abbastanza “attigua” al personaggio che per effettive doti di introspezione interpretativa: una “lacerata e attonita” espressione facciale quasi rabbiosa che mi sembra più “naturale” che ricreata, oltre che una appropriata fisicità un po’ dismessa che ben si coniuga con la tipologia “incarognita” e abbastanza sfiorita richiesta del ruolo. Il resto però è davvero – e purtroppo - poca cosa. Le uniche, ulteriori note positive, vengono semmai dall’ambientazione, una inedita e labirintica Bologna splendidamente fotografata, ma che da sola non riesce a dare adeguato spessore alle figure che si muovono sotto i suoi portici e fra le strade rese più misteriose e “malsane” dalla scelta cromatica delle sfumature notturne." Come punteggio ideale... opterei per due stelle e mezzo allora (ma visto che non è possibile, lasciamo le cose come stanno)
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