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Quo vadis, baby?

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Quo vadis, baby?

di sasso67
6 stelle

Un film medio, come invece "Io non ho paura" era un film alto. La trama di "Quo vadis, baby?" è prevedibile, nonostante la struttura da giallo, che in alcuni momenti ricorda ddirittura il primo Dario Argento. C'è anche qualche banalità di troppo nei dialoghi, che in qualche brano sembrano tratti dalle citazione che si trovano stampate sulle magliette spiritose, come quando Giorgia domanda a Berti se crede in dio e questi risponde "Diciamo che lo stimo". C'è troppa autoreferenzialità, come se tutta la vita fosse interpretabile con la chiave del cinema; alcune citazioni sono esplicite (Ultimo tango a Parigi, M di Lang), ma ve ne sono molte altre sparse qua e là. Perfino la colonna sonora, composta da bei pezzi di rock, appare forzata: in alcuni momenti fin troppo sbracata (era meglio non mettere in un film come questo un pezzo, pur bellissimo, che s'intitola "Psycho Killer", dei Talking Heads d'annata), in altri punti in apparente rincorsa delle scelte di Tarantino (i pezzi dei Ramones, "Ragazzo di strada" dei Corvi, "Pugni chiusi" dei Ribelli).
Eppure dei lati positivi del film sono evidenti, come l'indubitabile professionismo e la padronanza di mezzi di Salvatores, al cui servizio è la fotografia, ancora una volta di Italo Petriccione, tutta in toni lividi e notturni, che sa rendere alla perfezione un'atmosfera d'angoscia e che in alcune scene sotto i portici bolognesi sembra ispirarsi al barbaro assassinio del professor Marco Biagi (in alcuni scorci manca soltanto la biciletta appoggiata al muro). All'attivo del film sono poi le interpretazioni, dall'Angela Baraldi che esordì tanti anni fa nel video degli Stadio Chiedi chi erano i Beatles, ai sempre ottimi Andrea Renzi (un punto fermo per la cinematografia italiana almeno dall'"Uomo in più" di Sorrentino) e Luigi Maria Burruano. Gigio Alberti fa per l'ennesima volta la parte dell'eccentrico con velleità di artista e tombeur des femmes e rischia di rinchiudersi in un cliché. Notevole la breve apparizione di Bebo Storti nella parte di un marito cornuto e un po' psicopatico.

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