Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
La dolce vita va in frantumi, se scopri quanto è vicino a te il colpevole. Basterebbe questa sola immagine per lasciarsi convincere dall’oscura crime-story di Gabriele Salvatores, Quo vadis baby?, il film successivo del grande successo mondiale Io non ho paura.
Dopo l’eclatante solarità delle campagne lucane (in Io non ho paura), il regista napoletano cambia completamente colore, gusto e registro visivo, prediligendo i colori tetri e le atmosfere dark. E’ un melodramma, presentato sotto le mentite spoglie di un giallo.
Tratto dall’omonimo romanzo di Grazia Verasani, Quo Vadis, Baby? ha una partnership produttiva di grandissima portata, che unisce Colorado film (editrice anche del romanzo), Medusa e Sky, grazie alla quale il regista italiano è riuscito ad assicurarsi il buon budget di tre milioni di euro.
Giorgia Cantini (interpretata dalla bravissima cantante Angela Baraldi, non nuova ad escursioni cinematografiche) vive nella Bologna oscura, piovosa e sorda, che accoglie le bevute notturne della donna, i fugaci incontri con il commissario Bruni e quelli passionali con il professore Andrea Berti. Giorgia è un’investigatrice privata, grintosa e disillusa, con un passato familiare che lascia il segno ed un presente piuttosto anonimo e solitario, fatto di alcool, spinelli e sacchi da pugilato da colpire. Improvvisamente riceve delle videocassette girate da sua sorella, morta suicida quasi venti anni prima, in circostanze poco chiare. Dalle sue indagini emergeranno molti elementi oscuri, segreti ed inganni, ma soprattutto, attraverso questa ricerca nel passato, Giorgia avrà modo di riflettere su sé stessa, sul suo rapporto con il padre e con gli uomini in generale.
Salvatores continua ad esplorare il linguaggio del cinema di genere, con lo sguardo dell’incantato cinefilo, girando in HD, sistema digitale ad alta definizione, avvalendosi dell’ottima fotografia di Italo Petriccione e ricca di rimandi al cinema d’ogni luogo e d’ogni tempo, da La finestra sul cortile, La dolce vita, I pugni in tasca, Blow up, Jules and Jim, ma soprattutto Ultimo tango a Parigi (da cui è tratto lo stesso titolo del film: celebre battuta di Marlon Brando) e M, il mostro di Dusseldorf di Fritz Lang.
Senza mai alzare la macchina oltre i portici, oltre gli archi e restando addossato ai corpi dei protagonisti, il regista napoletano inquadra i turpiloqui, spesso di maniera, abbandonandosi anche ad un linguaggio liberticida, intriso di parolacce a raffiche, molto di tendenza in certe sceneggiature di registi “acchiappaventenni”, comprese le battute che mettono sulla bocca di agenti di polizia “anch’io, prima di andare a dormire, mi faccio la cannina”. E c’è bisogno del cinema per sottolinearlo?
Un film che funziona sotto il profilo della regia, ma che lascia molti dubbi per ciò che concerne una sceneggiatura, debole nella caratterizzazione dei personaggi e assolutamente prevedibile nello sviluppo delle situazioni: una non insolita novità per quanto concerne molti titoli di Salvatores. Eccellente il commento sonoro, composto dagli strumentisti di Philip Glass e registrato negli Stati Uniti.
Di maniera, eccessivamente evangelica la battuta: “il fiore germoglia solo se è seppellito il seme”. Anche nel cinema italiano non c’è più religione, intesa come la capacità di saper raccontare storie, che ormai ricordiamo solo in occasione di altre visioni, a cominciare da quegli stessi film che Salvatores rammenda nel suo Quo vadis baby?
Giancarlo Visitilli
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta