Regia di Jaume Collet-Serra vedi scheda film
Il Museo delle cere di Trudy si erge in fondo alla strada principale di Ambrose, villaggio sepolto nella “wilderness” americana a un passo dalla città. Poco lontano, ecco un cinema (dove si proietta Che fine ha fatto Baby Jane?), una stazione di servizio, un pet shop, una chiesa. Qualcuno, a una finestra, scosta la tenda per guardare i ragazzi che sono rimasti in panne nel bosco e cercano soccorso in paese. Ma, dietro l’apparente tranquillità, l’atmosfera, fin dall’inizio, è malata, non solo per la misteriosa perfezione delle statue di cera del Museo e per un’inquietante sequenza pre-titoli, ma anche per i rumori, le ombre, le forme in decomposizione della foresta. La campagna, come accade spesso nell’horror americano, si rivela una trappola mortale per gli abitanti della città. Solo ispirato ai film omonimi degli anni ’30 e ’50, La maschera di cera di Jaume Collet-Serra in realtà richiama di più il new horror anni ’70 che non quello classico, sia nella raffigurazione del maniaco e delle sue “tecniche” (per i quali discende da Non aprite quella porta), sia nella rappresentazione di un ambiente (quello rurale) che pare a misura d’uomo, ma alleva mostri. I due registri immaginari non sono perfettamente fusi, ma nel complesso l’horror è azzeccato.
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