Regia di Byambasuren Davaa, Luigi Falorni vedi scheda film
Dai tempi di Bambi, il cinema non ha mai smesso di riproporre il tema dell'amore materno in tutte le sue salse. A questo giro è il turno di mamma cammello, che nel bel mezzo del deserto mongolo ha messo al mondo un piccolo albino. La genitrice non vuole saperne di allattarlo e gli sforzi propiziatori dei mandriani per avvicinare il cucciolo alla tetta materna sembrano inutili. Fino al prevedibile epilogo.
Ciò che più sorprende di questo semidocumentario tirato per le lunghe per un'ora e mezza è che non si capisce cosa avrebbe fatto la troupe se anziché un cammello albino fosse nato uno normale. Avrebbe girato i tacchi e sarebbe tornata in Europa (il film è una coproduzione italo-tedesca)? O avrebbe imbastito un qualsiasi altro documentario di taglio etno-antropologico sulla tosatura dei cammelli e la fabbricazione di corde? L'operazione nel complesso resta un mistero ma alcune scene, come quella del canto con strumento a corda, così accorato e ancestrale da convincere anche mamma cammello a donare un po' del suo latte, sono davvero toccanti e gli scenari naturalistici ritratti con gusto.
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