Regia di Byambasuren Davaa, Luigi Falorni vedi scheda film
Il commento più divertente – tra il plauso generale della critica e del pubblico che dovunque ha accolto la proiezione del documentario “La storia del cammello che piange” – è quello di Derek Elley del Variety: “ Se mai gli Oscar inventassero un Premio per la Migliore Interpretazione Animale, il cammello Ingen Temme e il piccolo Botok dovrebbero essere i primi a riceverlo!” E come d’altronde dargli torto: i due esotici quadrupedi sono infatti gli straordinari e commoventi protagonisti del film di fine corso alla scuola di Cinema di Monaco dei due studenti Luigi Falorni e Byambasuren Davaa che – candidato al Premio Oscar 2005 – ha imposto all’attenzione generale un’opera di rara magia e poesia. Primavera nel deserto dei Gobi, Mongolia del Sud: una famiglia di pastori nomadi aiuta a far nascere i cammelli del branco. Uno di questi ha un parto terribilmente faticoso e doloroso: mette alla luce un bellissimo cucciolo bianco rifiutandogli però brutalmente il suo latte e l’amore materno. Saranno il suono arcaico del violino ed i canti melodici di una donna a fare breccia nel cuore della madre del piccolo cammello: quando le viene portato nuovamente il cucciolo scoppia in lacrime e gli lascia finalmente prendere il latte di cui ha bisogno per sopravvivere. E la macchina da presa di Daava e Falorni diventa la testimone silenziosa ma incisiva di questo straordinario percorso di vita e d’amore regalandoci sequenze di semplice e rara potenza visiva ed emozionale. Le scene di vita quotidiana della famiglia mongola – i volti degli anziani e dei bambini sono difficili da scordare – e quelli del branco di cammelli si fondono così in un emozionante ritratto che ha il pregio e la forza di narrarci del senso della vita con incredibile verità e realismo.
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