Regia di Kon Ichikawa vedi scheda film
I frequenti primi piani stanno a testimoniare l’approccio umanista di Ichikawa al tema della guerra. Infatti, come già l’altro capolavoro del cineasta giapponese, “L’arpa birmana”, neppure “Fuochi nella pianura” è semplicemente un film antibellico o antimilitarista, ma è un film umanista, nel senso che il regista tende a cercare, a preservare, a risvegliare quanto di umano c’è dentro di noi, anche nelle situazioni più estreme, quelle che spingono ad emergere il lato animalesco che è dentro ogni essere vivente. Ichikawa non rifugge dai simboli e dalle citazioni dei precedenti illustri: e così, come l’acqua rappresenta la funzione salvifica della natura (Tamura è l’unico soldato a camminare, per un lungo tratto del film, a piedi nudi, come se avesse bisogno di un contatto più diretto con la terra), la sequenza in cui il protagonista prende in mano una formica non può non far pensare a quella di “All’ovest niente di nuovo” (L. Milestone, 1930) nella quale Paul tende una mano fuori dalla trincea per afferrare una farfalla. Tamura è chiaramente un eroe, ma non perché compia azioni particolarmente spericolate o meritevoli dal punto di vista militare, bensì perché si rifiuta di abdicare al proprio ruolo di essere umano ed accetta, anzi sopporta, di utilizzare il moschetto soltanto contro chi non conserva dentro di sé e nel proprio comportamento alcunché della natura umana che gli dovrebbe essere propria. Alla fine, deciderà che è meglio morire da uomini piuttosto che vivere da bestie: “Fatti non foste a viver come bruti…”. Per il resto, mi rimetto anch’io all’analisi puntuale fatta qui da spopola.
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