Regia di Chang Cheh vedi scheda film
“Mia madre diceva sempre che era meglio sposare un semplice contadino e vivere felici in pace, piuttosto che innamorarsi di un combattente: in nome dell’onore sono disposti a gettare via la propria vita”.
[Chiao Chiao]
L’illustre maestro spadaccino Qi Rufeng (Tien Feng), aggredito da una banda di briganti, riesce a salvarsi grazie al sacrificio di Fang Cheng (Ku Feng), uno dei suoi discepoli: per riconoscenza, promette all’uomo in punto di morte che prenderà il suo giovane figlio Fang Gang sotto la propria protezione. Dieci anni dopo, Qi Rufeng è ormai prossimo ad abbandonare il comando del suo clan e sceglie proprio Fang Gang (Jimmy Wang Yu) come suo successore, scatenando, così, l’invidia dell’affascinante e odiosa Qi Pei (Pan Yin-Tze), la sua giovane e unica figlia, e di altri due discepoli del clan. I tre, nonostante Fang Gang abbia deciso di rifiutare l’investitura e abbandonare la casa del maestro proprio per non alimentare il loro risentimento, lo sfidano a duello: durante il combattimento, però, Qi Pei, incapace di accettare la sconfitta, riesce a prevalere con l’inganno su Fang Gang e a tagliargli un braccio. È la giovane orfana Xiao Man (Chiao Chiao) a trovare il corpo quasi in fin di vita di Fang Gang e a soccorrerlo: ripresosi da shock e ferite, Fang Gang, grazie anche alle amorevoli cure di Xiao Man, si rimette presto in sesto e inizia ad allenarsi per poter praticare le arti marziali con un solo braccio. E mentre il temibile Diavolo dal Braccio Lungo (Yang Chi-Hing), insieme al fratello Tigre Sorridente (Tang Ti) e ai suoi discepoli si preparano ad attaccare il clan di Qi Rufeng per poter dominare indisturbati il territorio, spazzando via, così, l’unica minaccia ai loro progetti di conquista, Fang Gang diviene ben presto un invincibile combattente. Quando i nemici di Qi Rufeng tendono una trappola proprio alla figlia Qi Pei e la catturano, Fang Gang, per ripagare il debito di riconoscenza nei confronti del suo maestro, non esita ad accorrere in aiuto della ragazza e a liberarla. Poi torna dalla sua Xiao Man per iniziare, insieme a lei, una nuova vita: non hanno fatto i conti, però, con i piani dello spietato Diavolo dal Braccio Lungo. La guerra tra i due clan, infatti, costringerà Fang Gang a schierarsi in difesa di Qi Rufeng e dei suoi discepoli.
Uno dei wuxiapian seminali nella storia del genere, primo capitolo della cosiddetta trilogia dello spadaccino monco (a cui seguiranno La sfida degli invincibili campioni e La mano sinistra della violenza - anche se quest'ultimo titolo ne è, più propriamente, uno splendido, addirittura superiore, reboot - e che nel 1995 verrà omaggiato da un favoloso remake come The Blade, diretto da Tsui Hark), diretto da un maestro come Chang Cheh, classe 1923, ex scrittore e critico cinematografico e pioniere del nuovo corso dei film di arti marziali: reclutato dallo Shaw Brothers Studio, lanciò il genere nella modernità (e alla conquista dei mercati internazionali, a cui contribuì anche il successo dell'altro titolo fondamentale a cui si fa risalire la rinascita del wuxiapian e l'inizio dei suoi trionfi al di fuori di Hong Kong, ovvero Come Drink with Me di King Hu, realizzato l'anno precedente) riscrivendone regole e stilemi, affidandosi ai migliori coreografi del settore (Tong Gaii e Lau Kar Leung), esaltando la purezza dell'eroismo dei suoi personaggi e il loro senso dell'onore e imbrattando di sangue ogni combattimento. Qui tutto resta ancora appena accennato, sia in termini di spettacolarizzazione coreografica della violenza, sia per la fluidità del racconto, ancora eccessivamente meccanico nelle sue evoluzioni, ma appaiono senz'altro evidenti le direzioni verso cui Cheh spingerà il wuxiapian: si ritorna a un protagonista maschile, si mutua dal chambara giapponese la figura dell'eroe menomato (il Fang Gang senza un braccio in luogo, ad esempio, dello spadaccino cieco Zatoichi) ed errante, insistendo, tra l'altro, sull'esibizione sempre cruda e brutale dei combattimenti e sulla travolgente dinamicità delle scene d'azione. La macchina da presa di Chang Cheh ne cattura la concitazione con movenze sinuose e avvolgenti, esaltandosi in un tripudio di panoramiche e carrelli che ne accrescono esponenzialmente la spettacolarità, come nelle sequenze più riuscite del film: la fiera al tempio, il combattimento nella locanda tra Fang Gang e gli sgherri del Diavolo dal Braccio Lungo, il duello finale tra Qi Rufeng e Diavolo dal Braccio Lungo, mentre Fang Gang combatte contro Tigre Sorridente e, sconfitto l’avversario, accorre a salvare il suo maestro dall’imminente massacro. Il sobrio titolo italiano (Mantieni l'odio per la tua vendetta) di One-Armed Swordsman, poi, calca la mano sul tema della vendetta, ma è in realtà l’onore, il debito d’onore, a essere al centro della vicenda: Fang Gang, infatti, non si vendica di Qi Pei, che gli aveva mozzato il braccio a tradimento, quando la ragazza viene imprigionata, ma accorre, invece, a soccorrerla per riconoscenza con il suo maestro, rischiando, per questo, anche di perdere l’amore di Xiao Man, divorata da paure e gelosia. E sempre per onore, per ripagare il suo debito, non esita a tornare sui suoi passi e a schierarsi contro i nemici di Qi Rufeng.
Messinscena di smagliante impatto spettacolare (fotografia, scene, costumi, l'efficace colonna sonora di Wang Fu-Ling) e straordinaria, infine, la prestazione nei panni del protagonista Fang Gang per l'ex campione di nuoto Jimmy Wang Yu, che il successo del film contribuirà a lanciare tra le stelle del cinema di Hong Kong (ma un meritato plauso va anche alle due protagoniste femminili, specialmente alla convincente e affascinante Pan Yin-Tze).
“Ehi, monco… Preparati a morire!”.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta