Regia di Mario Soldati vedi scheda film
W il duce? W Duccio! Dal calligrafismo al noir passando per il neorealismo. “Fuga in Francia” è la rimessa in scena del fascismo 30 prima del Salò di Pasolini, quando il sangue delle rappresaglie non è ancora rappreso, secco e polverizzato e sull'assito, il sipario e la platea si presenta liquido, lucido e caldo col suo odore metallico di macello.
W il Duce? W Duccio! (¹)
Carlo Ponti, ancora produttore esecutivo in Lux con DeLaurentiis e poco prima di fondare la Ponti-DeLaurentiis, propone - impone (²) - a Mario Soldati
[ scrittore - “le Lettere da Capri” (Premio Strega) e “i Racconti del Maresciallo” (poi trasposto per la tv dal suo stesso creatore) -, sceneggiatore, regista cinematografico - “Piccolo Mondo Antico” e “Malombra” (il primo periodo fogazzariano durante la WW2), poi, a Liberazione avvenuta, “le Miserie del Signor Travet” (V. Bersezio), “Eugenia Grandet” (da H. de Balzac) e “Daniele Cortis” (ancora Fogazzaro), e ancora, più in là, persi tra molte produzioni di cappa e spada, “O.K. Nerone”, “la Donna del Fiume” e “Policarpo, Ufficiale di Scrittura” - e televisivo (“Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini”) ],
l'autore di “Fuga in Italia” (da Roma verso Napoli nel Settembre del 1943), il ''suo'' soggetto di “Fuga in Francia” : Mario Soldati è un essere cinematografico, ma adora anche la montagna (sabauda e non), e il suo Piemonte, e va.
“Papà!”, dice il bambino riflesso nel vetro al prete (il sostantivo riceverà le virgolette solo qualche secondo più tardi, ma l'effetto oramai è raggiunto) - atteso di là dal confine - inquadrato di spalle : e già il film ti conquista.
E più tardi, altrove, ma solo per un momento, nel frammento di uno specchio, gli occhi di lei, spalancati-chiusi.
Dal '43 al '45, inverni compresi, erano le brigate partigiane (e qualche truppa alleata) a scavallare gli alti passi montuosi che portan'oltralpe in fuga dai rastrellamenti nazi-fascisti. A guerra conclusa e a ''dopo''-guerra infuriante giunse il turno dei repubblichini : via, a ripercorrere gli stessi sentieri, sperando in un'accoglienza (di certo) migliore (l'Italia fascista invase ed occupò la Francia meridionale dal 1940 al 1943, ed anche se amici dei loro nemici per i francesi di quelle vallate alpine non doveva essere facile accogliere e sostentare gli anti-fascisti).
Siccome i fascisti non erano stati rimossi fisicamente, una pallottola a testa, in testa, il Paese pensò bene di ''risolvere'' altrimenti il ''problema'', mettendo in opera un rimosso collettivo : i fascisti non (?) si possono ammazzare tutti, allora, ''semplicemente'', non ci pensiamo più, e si torna a (soprav)vivere, a dopo-guerreggiare, a ricostruire : il Boom, il '68, nessun '48… E poi, il 12 Dicembre. E a tutt'oggi l'alba del 13 non s'è ancora vista.
A parte l'umana meschinità ritratta all'apice delle sue possibilità, a parte l'umana altruistica moralità scolpita nella sua forma più elevata, a parte l'atto violento dello squarciare il velo (il sudario) sulla ''rimozione'' del fascismo [ad opera delle stesse benevole ''marieluise'' (³) che ne avevano decretato l'ascesa, e che ora fingono l'incistarsi del capo tra le spalle sparendo il collo, mentre con la solita, abile torsione bipolare bisuntano sorrisi a chi di dovere dispensandoli col culo] messo in opera con la sua sola presenza – e già questo basterebbe a dare senso e valore e memoria al film –, questo lavoro di Mario Soldati elabora sottilmente, trasversalmente, percussivamente anche altre due tematiche fondamentali della società di allora e di sempre :
dopo la politica (il potere, e la gente comune), l'economia, affrontata in chiave d'emigrazione, e la psico-sociologia (il rapporto genitoriale e filiale, qui declinato lungo la linea maschile padre-figlio, topos di molto cinema statunitense coevo tanto all'epoca del film quanto alla nostra) : la possibilità, il diritto, la conquista di essere padre sancito dal figlio altrui - resosi orfano in un ultimo atto a mezza via tra la pietà e l'imprinting - autoproclamatosi tale dopo l'ambivalente, durissimo “Non lo conosco” detto rivolgendosi alla gendarmerie, sull'ambulanza-patisserie : un addio ''affettuoso'' ch'è anch'esso una condanna a morte (morale), mentre quella fisica verrà.
“Fuga in Francia” è la rimessa in scena del fascismo, 30 prima del Salò di Pasolini, quando il sangue delle rappresaglie (la rappresentazione del potere) non è ancora rappreso, secco e polverizzato, e sull'assito, il sipario e la platea si presenta liquido, lucido e caldo, col suo odore metallico, di macello.
Dal calligrafismo al noir, passando per il neorealismo.
La città di pianura. Il collegio. Il treno. La locanda della stazione a fondo valle. La notte. La scalata al passo. Oltre il confine.
La lunga, splendida, potente sequenza alla locanda non ha nulla da invidiare, in quanto a (grammatica della) costruzione, scansione dei tempi, esplorazione del quadro e del set, disposizione e gestione degli attori, e tensione, a “the Killing” e “Barry Lyndon” di S.Kubrick, “le Trou” di J.Becker, “Inglourious Basterds” e “the Hateful Eight” [ solo curiosa (?) la coincidenza che vede protagoniste la porta della casermetta-bivacco sopra Oulx in Val di Susa ( tra parentesi : molto belle le scene girate, in un assolato plein-air, in cima alla diga a gravità di Rochemolles, in riva all'invaso che costituisce il lago omonimo, del tutto italiano, ma qui impegnato a interpretare il versante francese ) e la porta della locanda di Minnie :
entrambe non stanno chiuse e devono essere bloccate e fissate dall'interno ] di Q.Tarantino : e si, un loro minimo comun denominatore è l'esser tutti film successivi (Pietro Germi, due anni dopo, dirigerà “il Cammino della Speranza”) a “Fuga in Francia”.
Non lo è John Ford (e in parte Orson Welles). Ecco.
* * * * ½
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Titoli.
Soggetto e Sceneggiatura : Carlo Musso, Ennio Flaiano, Mario Soldati (con la partecipazione di Mario Bonfantini, Emilio Cecchi e Cesare Pavese).
Fotografia : Domenico Scala
Montaggio : Mario Bonotti
Musica : Nino Rota
Scenografia e Costumi : Piero Gherardi
Aiuto Regia : Marino Girolami, Tino Richelmy, Lauro Venturi
B/N - 35mm - 1.37:1 - mono
Folco Lulli (Riccardo Torre, il gerarca in fuga, spoglio della camicia nera) : impressionante : la viscidità del personaggio promana da ogni poro, suppura dalle labbra carnose, dalle gote grassocce, dagli occhietti flaccidi : impressionante.
Rosina Mirafiore (Pierina) : attrice non professionista, muore (la sua imago), e non la rivedremo, mai, più (come quasi tutti gli altri). Commovente - nel senso letterale, etimologico del termine - l'uso del dialetto che Soldati cerca, incoraggia e sfrutta a meraviglia.
Pietro Germi (Tembien) : un nodoso, possente pino cembro.
Mario Vercellone (Gino) : vale quanto detto per Rosina Mirafiore, la loro alchimia è magnifica (incredibile la di lui somiglianza col ''fratello maggiore'' Germi).
Giovanni Dufour (il Tunisino : ”Non mi vergogno mai d'aver fatto una cosa, qualche volta me ne pento, quando va male”) : idem quanto detto per Mirafiore e Vercellone : l'amalgama tra professionisti e non-attori crea un attrito luminoso e fiammeggiante.
E poi : Cesare Olivieri (Padre Giacomo : le brevi sequenze iniziali di schermaglia silenziosa col fuggiasco sono mirabilmente scritte e interpretate); Enrico Olivieri (Fabrizio Torre, il figlioletto dell'ex gerarca fascista: suo è lo sguardo stevensoniano sul mondo: l'avventura e il coming of age); Gianni Luda (il contrabbandiere/spallone); Gino apostolo (il brigadiere della Guardia di Finanza); Mario Soldati (dottor Stiffi, della Polizia italiana).
Note.
(¹) Duccio Galimberti : http://www.anpi.it/donne-e-uomini/2238/duccio-galimberti
La “Lapide ad Ignominia” : http://www.partigiano.net/gt/calamandrei_kesserling.asp
(²) "In quel periodo il NeoRealismo stava già declinando, il suo successo era già terminato. Ero conscio di dover cambiare genere, non potevo continuare a battere la stessa strada. Il soggetto apparteneva a Carlo Ponti. Voleva che me ne occupassi io e ho ceduto: Ponti è un uomo terribilmente violento. Io invece sono sempre stato debole. L'unica cosa che deve fare un regista è scegliere il soggetto [Kubrick la pensava quasi alla stessa maniera], almeno questo deve farlo, ed è proprio questo che io non facevo.
[…] Non bisognerebbe mai credere ai titoli di testa. In effetti il soggetto è stato scritto da Carlo Musso e credo pure che la storia originale fosse di Musso ed Ennio Flaiano. L'ispirazione gli era arrivata da un'idea che Ponti aveva scovato su un giornale, un fatto di cronaca su un gerarca fascista in fuga. Per compiacere Ponti, Musso ha elaborato il soggetto. Io non avevo nulla a che fare: ero solo felice, avevo voglia di lavorare, il film si girava in Piemonte…
[…] Quando è stata presa la decisione di girare il film, ho proposto di andare a scrivere la sceneggiatura a Bardonecchia, con Musso e Flaiano. Per motivi economici, Ponti ha detto no. Il fatto di non aver potuto scrivere la sceneggiatura sui luoghi dove si sarebbe svolta l'azione ha nuociuto al film. […] Quando siamo giunti a Bardonecchia per le riprese abbiamo dovuto riadattare un certo numero di cose e tutto questo si sente - insomma, un comportamento assurdo."
Mario Soldati ( testo raccolto da Jean Gili per “i Quaderni di CineCittà InterNational”, n. 8 - 1992 )
(³) Le marieluise gaddiane, ma non solo. Si pensi - per contro - al personaggio di Tembien (Pietro Germi, che dirigerà il Pasticciaccio, 10 anni dopo) reduce dal fronte esteso, reso assassino dal regime, e orfano di figlio.
La ''scena'' del salotto, del tè, dei biscottini, dei cucchiarini, dei tovagliolini, non era perfetta se non vi risonavano parole come “i nostri meravigliosi aviatori”, “il sacrificio eroico de' nostri marinai”, “i granitici alpini della Julia”, e altre del genere.
Elle si inebriavano del ''sacrificio'' (altrui) e seguitavano a sgranocchiare petit-fours. Lo credo bene che gli aviatori fossero meravigliosi, e sotto tutti i punti di vista. Ed eroici i morti del mare, gli arsi vivi, i brustolati, gli andati a pezzi su dalle cambuse e dalle sale di caldaia e dalle santebarbare: e granitici gli alpini senza maglie e senza calze fra due metri di neve. Lo credo bene. Più ancora credo che orribile sia stata la lor vita, e orrenda la morte, e il suo strazio. E tutto perché nel salotto stile impero del cavolo potessero risuonare le suddette parole: “i nostri ragazzi!”. (Dove pregovi assaporare tutta la verità e il disinteresse di quel ''nostri''.) Perché la scena del salotto si perfezionasse in una vocalità di esquisito sentore: perché la coppa del salotto fiorisse la sua verbale orchidea.
E intanto il trombone maritale: “Vedi, Giovanni, io ho bisogno di sostentarmi...” Oh! Se uno solo di quei tromboni fosse preso (poniamo dai patrioti in arme) e gli dicessero: “Senti, caro, adesso vieni con noi alla guerra, si, caro, a servire la ''patria'', si, tesoro, quella ''patria'' proprio di cui hai così abbondantemente cicalato...e anche la tua signora...sicuro, sicuro...di cui avete ragliato così a lungo, tutt'e due, e con tanto successo…
“Dove dormiremo stanotte? Non dormiremo. Ti fa male il dente del giudizio? Oh, poverino! Un po' di fuoco, dici? Si, si, la bufera di neve. Un tubetto di Formitrol per il mal di gola? Si, schegge da 152. Che cosa mangeremo? Galletta muffa. Si, capisco, hai bisogno di sostentarti… Anch'io ne ho bisogno. Che dici? Che cosa succederà?… Il meglio che ti possa capitare è di non fare a tempo a vedere il colore delle tue trippe...”
Carlo Emilio Gadda - “Eros e Priapo” (Versione Originale) - le Marie Luise e la Eziologia del loro Patriottaggio Verbale (Appendice - Teatro Patriottico Anno XX) - 1944-'45 (Adelphi, 2016)
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