Regia di Alain Robbe-Grillet vedi scheda film
Se esistesse un genere di film "dissonanti" L'uomo che mente rientrebbe a buon diritto nel novero delle opere imprescindibili, nelle pietre miliari del filone, assieme a L'anno scorso a Marienbad (da lui sceneggiato) e tutta la filmografia di Godard, costellata di storie che non vogliono realizzarsi (Made in USA, Passion, Prénom Carmen).
Talmente programmatico, fin dai titoli di testa, da rasentare la saggistica, il terzo lungometraggio di Alain Robbe-Grillet (non dissimilmente dagli altri lavori) gioca ad esplorare il rapporto tra parola ed immagine, tra sonoro e visivo, tra set e montaggio, a volte schematicamente, altre volte con un acutezza degna dei migliori sperimentatori dell'epoca.
Sono gli anni Sessanta francesi, quelli della contestazione e dello strutturalismo, e si vede. Tra fascinazione e critica, Grillet assorbe e sfrutta i nuovi mezzi e i nuovi concetti per raccontare una (nessuna, centomila) storia di resistenza e tradimento, in una narrazione che procede per periodi contraddittori e dissonanti. Come in una illuminante sequenza di Cuore selvaggio (quella in cui Lula racconta lo stupro da parte dello zio), lo statuto epistemologico di ogni segmento (leggi: scena) viene falsato da quello successivo, o dal proprio sonoro, voce narrante e cosciente d'essere foriera di menzogna.
Allo spettatore certo rimane poco a cui aggrapparsi, se non forse lo spettacolo di una struttura che cede sotto i colpi di martello del proprio costruttore. Rimangono volti e i corpi che trasudano erotismo, ma senza un'identità che suggelli la loro consistenza (ed esistenza). Rimangono i fantasmi della guerra e del collaborazionismo, ma senza capri espiatori cui additare la colpa per quello che è successo.
Ecco, forse il contributo più importante di Grillet (al cinema) non è tanto quello riguardante la narrazione, già splendidamente rinnovata, contorta e distrutta da Godard e Resnais, ma quello concernente l'identità e la sua dissoluzione. Sia chiaro, non è tutta farina del sacco del regista di Trans-Europ-Express, e i due nomi sopra citati affrontano la tematica in ogni singola opera che abbiano realizzato; tuttavia è proprio in Grillet che la dissoluzione del personaggio classicamente inteso sembra essere così centrale da poterlo considerare a tutti gli effetti un precursore, intellettuale e formalista, di Lynch e Cronenberg, punti massimi ancora insuperati nella riflessione su corpo, cinema e identità.
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