Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
"Se ci sono più di due persone vuol dire che è una festa, e io alle feste non ci vengo". E’ un uomo terribilmente solo, Max, e questa sua affermazione evidenzia impietosamente il malessere esistenziale che lo affligge. Suo padre è appena morto, e lui non ha la forza né la voglia di affrontare il lutto; addirittura non riesce nemmeno a parlare con sua madre e suo fratello. E neanche sul lavoro si può dire che le cose vadano meglio: di professione ricercatore scientifico, Max ha coi propri colleghi rapporti freddi e distaccati; perfino con Anais, la ragazza con cui tenta di avere una relazione, non riesce a stabilire un dialogo degno di essere definito tale. Sembra quasi che Max voglia fare intorno a sé terra bruciata. Non vuole parlare praticamente con nessuno. Citando Bob Dylan, si potrebbe dire che sembra un uomo “intrappolato nella tristezza”. Un giorno, però, la sua vita cambia radicalmente quando i suoi colleghi scoprono che ha falsificato i dati di un importante progetto scientifico a cui lui e il suo gruppo di ricercatori stavano lavorando da diverso tempo. Costretto a dare le dimissioni, per lo sconforto Max arriverà a tentare il suicidio.
Il regista di questa pellicola, Daniele Vicari, aveva esordito con un interessante film, “Velocità massima”, che lasciava intuire buone potenzialità per il prosieguo della sua carriera. “L‘orizzonte degli eventi” è la sua opera seconda, ed è sicuramente un film ambizioso, non completamente riuscito, ma che comunque conferma quanto di buono Vicari aveva mostrato nella pellicola precedente. All’attivo del film c’è una bella sceneggiatura che consente al regista di delineare in modo convincente i personaggi, soprattutto quello di Max, protagonista assoluto della storia, e anche una certa eleganza nello stile di regia. Al passivo, invece, va segnalata la durata: due ore sono un po’ eccessive, e infatti qua e là il film soffre di qualche lungaggine. Rimane comunque un bel tentativo di trattare in modo sensibile e delicato temi importanti e tutt’altro che facili come il disagio esistenziale, lo stress causato dal lavoro alienante e la difficoltà a relazionarsi con le altre persone; il tutto - fortunatamente - senza ricorrere ad isteriche scene madri. Un bel film insomma, che però con un po’ più di attenzione poteva essere ancora migliore. Nel ruolo di Max, un misurato e convincente Valerio Mastandrea.
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