Regia di Daniele Vicari vedi scheda film
Un fisico nucleare è a tal punto ossessionato dal lavoro da falsificare i dati di un importante esperimento. Poi, grazie a un pastore albanese che è la versione grezza di Heidi, sembra riscoprire i veri valori della vita; ma in fondo è rimasto lo stesso stronzo di prima. Sopporto sempre meno la categoria “giovani registi italiani” nel suo insieme: quando non sono intenti a guardarsi l’ombelico, hanno la tendenza a dedicarsi a qualche forma di revisionismo strisciante (alla fine il fisico impara a perdonare sé stesso, a differenza di quanto aveva fatto col padre coinvolto in Tangentopoli). Nel caso specifico, comunque, la ragione del fallimento del film sta nel suo affidarsi interamente a un incapace totale come Mastandrea (uno che dovrebbe passare la vita ad accendere ceri a s. Maurizio piduista per averlo miracolato insieme a innumerevoli altri cialtroni): sentirlo parlare di neutrini con quella faccia da analfabeta, come se avesse una minima idea di ciò che sta dicendo, è uno spettacolo degno del teatro di Ionesco. Posso reggerlo quando fa il comprimario, ma assistere a una sua interpretazione da protagonista è veramente troppo.
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