Regia di Alan Parker vedi scheda film
Mi ha fatto un gran bell'effetto rivedere sul grande schermo a 35 anni di distanza dalla sua programmazione in sala "Fuga di mezzanotte" che un giovane Alan Parker (aveva solo 34 anni) trasse dalla vera storia (e potrebbe sembrare fantascienza) accaduta allo studente americano Billy Hayes già trasposta in romanzo ("Midnight Express ") dallo stesso Hayes con la collaborazione di William Hoffer . Devo dire che non l'ho trovato invecchiato nemmeno un poco (e anche le forti emozioni che provai assistendo a quella ormai lontana visione, sono state tutte confermate nonostante che sappessi molto bene come andavano a finire le cose, segno che il lavoro fatto dal regista è stato di ottima fattura: il ritmo è serrato, alcune sequenze sono da cardiopalma, ottimo il montaggio e la resa tecnica dell'insieme ).
Prodotto da Alan Marchall e David Puttnam e adattato per il grande schermo da Oliver Stone, "Fuga di mezzanotte" è dunque la brutale rappresentazione di un universo carcerario così duro da disturbare anche il più imperturbabile spettatore, e questo grazie anche alla realistica, partecipata interpretazione di tutti gli attori del variegato cast (bravissimo il protagonista - un Brad Davis anche fisicamente appropriato, e qui meritoriamente premiato con un Golden Globe - purtroppo prematuramente scomparso ormai molti anni fa. Degnamente affiancato comunque da John Hurt, Randy Quaid, Bo Hopkins, Irene Miracle e dai nostri Paolo Bonacelli, Gigi Ballista e Franco Diogene).
Il film ebbe un'ottima accoglienza (e nessun premio) a Cannes (si consolò agli Oscar vincendo due statuette: una per la sceneggiatura di Stone, l'altra per la bellisisma colonna sonora di Giorgio Moroder) ma scatenò le ire del governo turco a causa della (presunta) eccessiva crudeltà con cui era stata raccontata la realtà delle loro prigioni all'interno delle quali il nostro protagonista risultava essere stato sottoposto - e non c'è da dubitarne assolutamente visto come vanno le cose in quella nazione ancora oggi - a ogni sorte di brutalità.
Anche la critica, almeno qui in Italia, lo accolse con molta diffidenza: ridicole le ragioni che vennero addotte e che ancora oggi si possono rilevare dia dizionari cinematografici come il Mereghetti e il Morandini, che gli contestavano il fatto di aver forzato troppo la mano sul versante orrorifico delle persecuzioni e una dose troppo accentuata di sadomasochismo che finiva per mettere in cattiva luce un paese come la Turchia che meritava di essere rispettato (dimenticandosi però che proprio quel paese aveva sulla coscienza il primo tragico genocidio - quello perpetrato nei confronti del popolo Arrmeno che continua a negare nostante l'evidenza - del novecento).
La storia è quella di un giovane amercano, Billy Hayes in vacanza con la fidanzata a Istanbul. L'azione prende le mosse dalla data del 6 ottobre del 1970, giorno del loro previsto rientro in America.
L'ingenuo ragazzo si era lasciato convincere da un taxista a comprare due chili di hashish (da rivendere agli amici una volta a casa). Sperando di farla franca, si presenta all'aeroporto con la droga incollata al corpo, ma viene scoperto e arrestato a pochi passi dall'aereo.
Gli interventi del Console statunitense, l'arrivo del padre e le manovre dell'avvocato, non impediscono però né il processo, né tantomeno la condanna a seguito della quale il giovanotto vie trasferito nel carcere di Sagmacilar, diretto dal feroce direttore Hamidou).
Inizia così l'odissea di un uomo che si trova abbandonato in un vero inferno. Dentro a questo ambiente davvero terrificante, Billy fa amicizia con altri suoi compagni di sventura , come lo stravagante americano Jimmy, lo svedese Erich e l'allucinato Max, con i quali. vengono elaborati alcuni tentativi di fuga, senza che nessuno riesca ad andare a buon fine.
Il tempo intanto scorre lentamente e quando a Billy rimangono da scontare solo 53 giorni degli oltre 4 anni di detenzione ai quali era stato condannato, ecco che un nuovo processo favorito dal clima di tensione fra Usa e Turchia trasforma, la sentenza di primo grado portandola a 30 anni di carcere. A Billy sembra che quella sia davvero la fine, ma quando sta per svanire in lui l'ultima speranza, un caso fortuito e inaspettato gli permetterà di mettere in atto una nuova, carmbolesca fuga, stavolta vincente.
Al valore della regia ho già accennato come all'importanza della sceneggiatura e a quella della colonna sonora. Rimane dunque da ricordare solo l'ottimo lavoro visivo (che dà a tutta la storia la giusta patina di verità) fatto da Michael Seresin titolare della fotografia.
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