Regia di Alan Parker vedi scheda film
Nei film degli ultimi anni si è spesso tentato di descrivere l'inferno come uno stato d'animo, come una pena interiore che ciascuno si porta dentro e che lo fa soffrire. Ebbene, se dovesse invece esistere un inferno sulla terra, questo somiglierebbe assai da vicino alle carceri turche descritte in Fuga di mezzanotte, dove anche la struttura architettonica della prigione sembra ispirata alle bolge infernali del primo canto della Divina Commedia.
Nel film di Alan Parker la parte migliore consiste indubbiamente nei primi dieci-quindici minuti, di pura adrenalina, dopo di che il regista indulge a un certo suo gusto barocco che lo contraddistinguerà anche nelle sue opere successive. Devo però confessare che Fuga di mezzanotte fa parte di un gruppetto di film mito per la mia generazione, che si trovava ad essere adolescente all'epoca, insieme a La febbre del sabato sera, I guerrieri della notte, The Wanderers, 1997: Fuga da New York, Shining, Fuga per la vittoria e poi Poltergeist e Nightmare.
Parker descrive quell'universo "concentrazionario" secondo i dettami dell'incubo e dell'estetica dell'epoca, con un filo di razzismo nei confronti dei carcerieri e dei carcerati turchi, acennando a qualche pulsione omosessuale che inevitabilmente affiorava nel regime di segregazione carceraria. Non ci vengono risparmiate crudezze e bassezze, che tuttavia non devono granché fuoriuscire dalla realtà di quell'incubo ad occhi aperti. Fuga di mezzanotte è uno di quei film in cui tra gli autori si deve considerare il direttore della fotografia, quel Michael Seresin che, dopo un paio di cartoline iniziali, illumina una presunta Istanbul tutta ricostruita a Malta, con il contributo di qualche attore delle nostre latitudini, come Paolo Bonacelli (lo spione del carcere), Franco Diogene (l'untuoso avvocato), Gigi Ballista (il presidente del tribunale) e il Paul Smith, che in Italia s'era visto al fianco di Antonio Cantafora nella serie di Simone e Matteo, interprete del turpe capo secondino Hamidou.
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