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Una storia d'amore svedese

Regia di Roy Andersson vedi scheda film

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La recensione su Una storia d'amore svedese

di maurizio73
8 stelle

Due adolescenti, Par e Annika, si incontrano per caso durante una visita ai rispettivi parenti ospiti di una casa di cura. Nasce tra loro un tenero sentimento che coltivano sullo sfondo di un sottile disagio familiare e sociale, tra i rimpianti e le recriminazioni dei più anziani e le aspettative tradite dei piu' giovani, lungo la linea di demarcazione di una crisi generazionale che è specchio e riflesso di un Paese che sembra aver smarrito la propria identità nazionale.
Nei riverberi gelidi e distanti di una remota Estate svedese Roy Andersson sembra inseguire le chimere di un 'Cinema Nuovo' che (tardivamente) si propone all'attenzione del pubblico scandinavo attraverso una vigile attenzione alle vicende delle nuove generazioni (adolescenti che imitano i riders americani tra giubbini in pelle e juke box), non mancando tuttavia di restituirci il senso di una profonda incomunicabilità esistenziale come un tarlo che corrode irrimediabilmente i rapporti familiari e calando l'estetica delle nuove pulsioni che avevano agitato il cinema europeo negli anni precedenti nel contesto più maturo e consapevole di un'analisi non banale delle relazioni sociali e di una irreversibile crisi dei valori, come accadeva in quegli anni con lo straordinario exploit di Michelangelo Antonioni. Andersson tenta di cogliere la coralità di questa dimensione sociale attraverso l'uso di campi medi che raccolgono la pluralità di presenze che affollano lo schermo come uno sguardo d'insieme sul divenire delle relazioni umane, calando spesso l'occhio della cinepresa sul dettaglio di primi piani da cui si coglie il senso condiviso di un dolore personale che si fa dolore collettivo (il nonno che piange all'inizio del film rivendicando la consapevole reclusione di una condizione terminale dell'esistenza, la giovane Eva che confessa alla nipotina il prematuro fallimento di un progetto umano e professionale, il riso isterico di John che manifesta il senso sprezzante di una insopportabile frustrazione individuale). Sullo sfondo di questo disagio sociale e culturale si agita il manifesto di questo cinema nuovo, si accavallano le 'onde' di questa estetica generazionale ove si inserisce la  delicata dialettica di una teoria  di sguardi che intessono la trama di un avvicinamento visivo,l'acerba concupiscenza di  una dolce scoperta sentimentale, il ritorno in moto a fari spenti in un crepuscolo carico di belle speranze. Folgorante il finale dove nel delirio etilico del piazzista di frigoriferi si alza il grido disperato di un fallimento sociale che prelude al tragicomico finale nella nebbia del mattino, a un nuovo mesto ritorno a casa. Cinema di passaggio, tra il freddo nichilismo di un disincanto generazionale e i silenzi domestici di una incomunicabilita familiare, che restituisce lo spessore di un'opera che raccoglie 5 nomination e 4 premi al Festival di Berlino del 1970. I gelidi riverberi della Nouvella Vogue Svedese.

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