Regia di Claude Lanzmann vedi scheda film
VOTO 10/10 Sono riuscito a concludere la visione del documentario-fiume (oltre nove ore di durata) del francese Claude Lanzmann sull’Olocausto, che resta la testimonianza più seria e approfondita sull’argomento in campo cinematografico. Sul sito ne ha già parlato in maniera esauriente l’utente Yume nei suoi bellissimi post cu Cinerepublic, io mi limito ad una recensione più sommaria su un lavoro che resta di grande complessità e anche un pò difficile da approcciare.
All’inizio ne avevo sentito parlare come di una sorta di contraltare di « Schindler’s list » di Steven Spielberg, con la maggior parte della critica schierata a favore del film di Lanzmann e lo stesso autore francese che attaccò duramente il film di Spielberg, definendolo « un melodramma di cattivo gusto » e « una deformazione della verità storica » (a mio parere il confronto fra i due film è inutile, tanto diversa è la natura strettamente linguistica del documentario e del film di finzione su fatti veramente accaduti, e anche se « Shoah » ha un impatto emotivo più sconvolgente e rimane probabilmente il film più compiuto a livello estetico, ciò non toglie che l’approccio di Spielberg resti altrettanto legittimo di quello del collega francese). Il titolo « Shoah » in ebraico significa caos o distruzione : la caratteristica più importante del film di Lanzmann è quella di essere composto interamente da interviste ai sopravvissuti allo sterminio, che all’epoca lavoravano nei campi di concentramento oppure furono testimoni delle atrocità che vi si svolsero. Lanzmann rifiuta di utilizzare sequenze d’archivio o brani di cinegiornali d’epoca : i volti degli intervistati sono spesso mostrati in un montaggio alternato che ci fa vedere le rovine di famigerati lager come Auschwitz, Treblinka o Birkenau. Queste immagini possono in qualche modo ricordare quelle che già nel 1955 ci mostrò Alain Resnais nel suo « Notte e nebbia » : erba e fiori spuntati sui luoghi degli eccidi, lunghe panoramiche sui percorsi ferroviari dei treni o all’interno dei boschi, le mura semi-diroccate dei lager, i crematori dove vennero bruciati migliaia di cadaveri. Nelle interviste Lanzmann si mostra imparziale, obiettivo, spesso esigente nel richiedere dettagli molto precisi dei terribili eventi rievocati, anche con l’ex comandante delle SS Franz Suchomel che era uno dei responsabili del lager di Treblinka (la sua intervista fu filmata con una telecamera nascosta ; nelle interviste ad altri funzionari nazisti come Franz Gassler, a tratti lo sdegno dell’autore emerge, per quanto sempre in una maniera sotterranea e controllata). Si può notare anche l’imbarazzo di molti polacchi che vengono intervistati e rievocano con difficoltà i fatti di cui furono spettatori, tanto che in Polonia il film è stato accolto in maniera ostile come « propaganda anti-polacca » ; ma la volontà di non arretrare di fronte a nulla è parte integrante dell’onestà dell’approccio di Lanzmann. Tra le varie interviste, le più sconvolgenti sono forse quelle al barbiere Abraham Bomba, che ad un certo punto scoppia in un pianto disperato ed è comunque invitato dal regista a continuare il suo racconto, e quella al leader della Resistenza polacca Jan Karski che rievoca le terribili condizioni di vita nel ghetto di Varsavia.
Molti critici considerano il film di Lanzmann uno dei più importanti documentari che siano stati mai realizzati insieme a « Il dolore e la pietà » di Marcel Ophuls, che parla delle condizioni di vita nella Francia del regime di Vichy ; il suo valore di documento storico-giornalistico è inestimabile, il rigore della scrittura cinematografica è notevole anche se non si può negare che la durata iperbolica può mettere a dura prova una parte del pubblico, tanto che è necessario diluire la visione in più sessioni (io l’ho visto in quattro parti su quattro giorni consecutivi). C’è anche una certa tendenza alla ripetizione nella scelta di alcune immagini, ma quando il contenuto è così forte non ci si bada molto, e comunque mi sembra un’opera di notevole potenza anche sotto il profilo formale nel suo partito preso di non rievocare la Shoah attraverso filmati d’archivio, poichè la Shoah per Lanzmann resta qualcosa di essenzialmente irrappresentabile (e la scena delle docce in « Schindler’s list » conferma questo punto di vista, poichè si tratta di una delle poche cadute dell’altrimenti solido ed efficace dramma di Spielberg).
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