Regia di Gregg Araki vedi scheda film
Il "New Queer Cinema" di Araki è un po' la versione più cinematografica - seppur semidocumentaristica - dell'underground warholiano, per di più citato in una locandina nell'ultima sequenza di Totally F***ed Up, il film che cominciava a far conoscere il regista americano (di origini giapponesi) nella cinematografia mondiale. In una Los Angeles soleggiata ma grigia e tediosa, come solo Heat di Morrissey aveva saputo riprenderla, sei ragazzi privi di famiglia affrontano la diffusa disumanità della metropoli, in cui è impossibile "essere felici anche per un solo secondo" e gli omosessuali si suicidano a causa della discriminazione e della violenza inferta loro da bulli armati. Alla ricerca di certezze umane ancora più che esistenziali, i sei protagonisti si amano e si tradiscono per trovare un senso alla loro giornata ancora più che alla loro vita, ma trovano delusioni ancora più che soddisfazioni. Vagano per supermercati, strade abbandonate e polverose, in un'America consumista tappezzata di pubblicità, che costringe ragazzi senza motivi ispiratori ad un nichilismo massacrante, che da un lato cerca le più banali difese in sesso e droga, dall'altro nella volontà disperata di credere nell'amore, cosa per alcuni impossibile, per altri raggiungibile. Così Araki evita generalizzazioni e infonde ai suoi esseri umani un vittimismo non melenso né moralista, ma che indica totale insofferenza nei confronti della società (come nella maglietta di uno dei protagonisti, "I BLAME SOCIETY") e compassione per le sofferenze sinceramente contemplate in immobili piani-sequenza dal basso: Araki non nega le sue origini, anche volendo raccontare condizioni tutte contemporanee, e guarda a Ozu per gli sguardi al livello del pavimento quando le riprese non sono amatoriali (e l'immagine si muove solo in un movimento obliquo come faceva nella singola mobile sequenza di Viaggio a Tokyo) e anche a Sunset Boulevard, nella morte finale in piscina. La tragedia è annunciata, la vita priva di orizzonti, ma rispetto ai disperati nullafacenti di The Chelsea Girls qui si crea un compromesso fra dimensione prettamente umana e dimensione caratteriale (quest'ultima assente nell'odissea underground anni '60), il che rende il film decisamente significativo e importante, rilevante premonitore di certo cinema successivo, in primis quello di Rose Troche, col simpatico Go Fish - Segui il pesce. E' chiaro inoltre che l'omosessualità non è frutto di una perdita dei valori, ma della ricerca di maggiore comprensione, paradossalmente riscontrabile di più in individui dello stesso sesso. Peccato che, nonostante i numerosi atti carnali messi in scena (sempre però con pudore), gli uomini rimangano totalmente distanti fra di loro, e la morte sembra l'unica cosa in grado di colmare quella distanza, nel pianto di chi ti voleva bene in un mondo privo di affetto.
Il tono semi-documentaristico indica, in conclusione, la volontà di raccontare di queste realtà, di non separarle dai problemi del quotidiano, e di farci capire come l'umanità (e non la bontà) esista in ogni comportamento irrazionale e auto-lesionistico. Diviso in 14 capitoli, un viaggio ultra-reale ma sperimentale in gioventù né bruciate né rassicuranti, ma semplicemente sole. Da notare come alcune frasi vengano sparate allo spettatore come raffiche letali: "Can this life be as sad as it seems?", "feels like God in heaven's gone away", fino alla consapevolezza autoriale di Araki, che ci avverte ironicamente quando ha inizio la fase narrativa dopo un'introduzione documentaristica. Il regista si fece conoscere in futuro per il suo capolavoro, Mysterious Skin. Totally F***ed Up apre una trilogia sull'Apocalisse giovanile seguito da Doom Generation e Ecstasy Generation.
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