Regia di John Waters vedi scheda film
"Non mi interessano i pittori dal buon nome, ma solo quelli dal buon gusto."
Giulio Andreotti, 1974
Ecco, qui invece ci troviamo dentro ad un semi-capolavoro(perchè neanche lui vorrebbe una catalogazione così ufficiale) del buon pessimo gusto di John Waters, e suo film massimamente "manifesto", più dei successivi a "Polyester", e "incariniti", maggiormente coeso ed efficace nella sua programmatica volontà di scioccare e disgustare, dei prececenti "film di mezzanotte" underground, diretti con Divine negli anni '70.
Una tale sequela ininterrotta di trovate geniali e dirompenti nel mettere alla berlina ogni cosa comprese le operazioni per cambiare sesso e l'albagia dei seni rifatti perfetti, il sesso tra minori antico spauracchio di ogni conservatore, e mai autoreferenziale come poi sarebbe stato quasi tutto il cinema-anche- dichiaratamente omosessuale-"queer", e questo lo è, che neppure l'adattamento dialoghi di un vecchio arnese del femminismo militante da riviste patinate come la Ravera, riesce a rovinarlo nella edizione italiana. Che uscì nei cinema nostrani due volte(1978 e 1979) per soliti e noti rimaneggiamenti censori di edizione, con il titolo "Nuovo".
Strepitosa la ereditiera ricca e nevrotica di Mink Stole/Peggy Gravel seppure molte delle sue folgoranti, irresistibili esagerazioni vengano perse dalla versione originale. Comunque fatto bene il doppiaggio italiano dei maggiori professionisti, che si prestano a profferire una rara sequela di oscenità e contumelie.
Grande Waters che pure fa l'operatore e filma dei colori e una ambientazione nella parte dei sobborghi ricchi e delle case coloniali, che si ispira evidentemente ai film di Douglas Sirk come di Delmer Daves degli anni '50, di rara bellezza cromatica e fotografica, solo con l'aggiunta di un topo morto arrostito con pomodorini e besciamella, da gustare parcamente in un servizio di posateria d'argento, piatti e bicchieri di cristallo, tovaglioli e portatovaglioli, tovaglie di panno blu.
Gran merito da spartire con lo scenografo "watersiano" Vincent Peranio.
Mancano come per altri film del Maestro dell'oltraggio di Baltimora, dei numeri musicali in un certo senso memorabili, ma per ritmo e livello generale delle gag al fulmicotone, e dei bersagli scelti quasi nessuno escluso, è certamente il più memorabile.
Da antologia la morte per asfissia mediante enorme culone sulla faccia, della serva nera obesa di Peggy, e citata più volte.
La parte ambientata a Mortville la città bidonville dei reietti e dei rifugiati rifiuti, e nel "Regno" della straripante Edith Massey, è per costumi sado maso leather gay e fetish, quasi una visione traviata all'inverosimile e travolgente, di certe ambientazioni neo-elisabettiane di Derek Jarman.
Ted_Bundy1979
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta