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Faat Kiné

Regia di Ousmane Sembene vedi scheda film

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La recensione su Faat Kiné

di OGM
8 stelle

Una storia di donne africane. Moderne, indipendenti e determinate. Tutto il contrario rispetto alla povera domestica  Diouana del primo film di Ousmane Sembène, la “nera” ingenua, analfabeta e succube dei suoi datori di lavoro francesi.  Al centro dell'universo presentato in quest'opera, si trova Kiné, che non si è mai sposata, ha avuto due figli da due padri diversi, ed  è ora la titolare di una stazione di servizio di Dakar. Con i risparmi accumulati a suon di sacrifici ha consentito ai suoi ragazzi di conseguire il diploma di maturità,  e li ha avviati agli studi universitari. Ad Aby e Djib ha voluto dare ciò che a lei è stato negato, ossia un’istruzione e, con essa, una garanzia per il futuro. È, infatti, la cultura l’elemento base per la crescita di un popolo, per il compimento del suo cammino verso la libertà, la democrazia e la piena autonomia politica ed economica.  Sembène affida questo messaggio ad una figura che, nonostante le sue disavventure adolescenziali, ha creduto a quest’idea fin dall’inizio, e per questo risulta comunque vincente: si tratta di Kiné che, a suo tempo cacciata dalla scuola perché incinta, ed in seguito a ciò, diseredata dal padre, è comunque riuscita, da sola,  a costruire qualcosa di vero ed importante per sé e per i suoi ragazzi. Dall’esperienza dei soprusi subiti da parte degli esponenti di una società arcaica e patriarcale, è stata capace di trarre lo spunto per un personale percorso di emancipazione, improntato alla scelta consapevole e svincolata da ogni condizionamento esterno. In un contesto in cui la poligamia è una realtà diffusa ed universalmente accettata, un insegnante può, nella totale impunità, sedurre ed abbandonare un’allieva, ed un uomo può considerare normale lavare via la vergogna di una gravidanza fuori dal matrimonio cercando di uccidere la figlia,  Kiné ha il coraggio di opporsi apertamente alla tradizione e di sfidare la mentalità corrente, per ragionare unicamente con la propria testa ed il proprio cuore. A dispetto delle grandi sofferenze conosciute in gioventù, Kiné ha conservato la morbidezza d’animo tipica di tante sue conterranee, che si affacciano alla vita con semplicità, senza mai dimenticare il dovere di essere generose e giuste vero il prossimo. Con la sua femminilità genuina e vivace, e la sua bellezza naturale, estranea ai dettami della moda occidentale, Kiné è l’eroina di un’avanguardia che non cerca di imitare i modelli europei, ma preferisce ricavare dal proprio passato gli insegnamenti necessari ad organizzare il presente nel migliore dei modi. Il nuovo corso dei Paesi africani – tenacemente propugnato da Sembène e invece contestato, da un ottuso personaggio del film,  come neocolonialismo del libero mercato – dovrebbe nascere da una lucida valutazione del possibile, da sostituire alla passiva ed acritica adozione degli usi tramandati.  Sembène torna, ad anni di distanza da Mandabi, a condannare l’Africa che, anziché attivarsi con le proprie risorse umane ed intellettuali, preferisce chiedere l’elemosina alle nazioni più ricche. La mendicante che allora, nella Dakar della primissima era post-coloniale, era appena una ragazza, è adesso un’anziana signora, ma resta comunque una figura negativa, respinta da tutti e malvista.   È l’anacronismo dannoso, che impedisce di guardare avanti e di porsi scopi concreti e costruttivi. Lavorare insieme per il progresso: in questa prospettiva illuminata si colloca anche la nuova concezione della famiglia proposta in questo film, una comunità non più retta da una ferrea gerarchia generazionale, bensì concepita come un sodalizio affettivo in cui tutti collaborano per il bene, morale o materiale, di tutti gli altri, confrontando serenamente i propri punti di vista, in un clima esente da inibizioni ed autoritarismi.  L’idea di fondo, che è poi la speranza riposta nei giovani, è che si possa essere uniti, nella lotta per una causa comune, pur nella diversità: musulmani e cristiani, e - ciò che, per il momento sembra molto più difficile – uomini e donne.

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