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American Splendor

Regia di Shari Springer Berman, Robert Pulcini vedi scheda film

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La recensione su American Splendor

di supadany
8 stelle

Ogni genere cinematografico presenta delle specifiche e preponderanti criticità, dei luoghi comuni da evitare come la peste per non diventare un facile bersaglio di critica e pubblico (almeno di quella fetta appassionata e quindi più esigente). Premettendo che le regole non sono monolitiche, i biopic non dovrebbero finire soffocati da un eccessivo ricorso all’agiografia, le commedie dovrebbero - come minimo - far sorridere (meglio se con qualche spunto di riflessione a rimorchio), i drammi dovrebbero procurare forti emozioni senza ricercare la lacrima a buon mercato e, infine, i documentari dovrebbero trasmettere allo spettatore i tratti fondamentali del soggetto sviscerato.

Nel caso specifico di American Splendor, parliamo di un’opera indipendente, rara e preziosa, che salda i generi succitati procedendo in ordine sparso, sfoggiando una brillante forma di scrittura creativa, sostenuta da altre doti piuttosto evidenti, come l’indiscutibile bravura di un ingrugnito Paul Giamatti, ai tempi non ancora giunto alla fama (che conquistò pochi mesi dopo con la pellicola che lo consacrò: Sideways. In viaggio con Jack).

Harvey Pekar (Paul GiamattiBillions, The illusionist) è un solitario, fresco di divorzio e con problemi alle corde vocali, che lavora come impiegato presso l’archivio dell’ospedale per veterani di Cleveland, coltivando come hobby la passione per la musica jazz e per i fumetti.

Quando il suo amico Robert Crumb (James UrbaniakDifficult people) conquista popolarità come fumettista underground, Harvey comincia a scrivere fumetti pescando a briglia sciolta dalla vita di tutti i giorni.

Grazie alla serie American Splendor, arriverà a essere chiamato più volte come ospite da David Letterman e, prima ancora, incontrerà Joyce Brabner (Hope DavisYour honor, Mumford), che diverrà sua moglie e compagna per una vita intera, nonostante svariate difficoltà.

 

Paul Giamatti

American Splendor (2003): Paul Giamatti

 

Vincitore del Sundance Film Festival nel 2003 e successivamente invitato a Cannes nella sezione Un Certain Regard, American Splendor è un gioiellino da non farsi mancare, purtroppo recuperabile solo guardando all’estero in quanto rimasto - incredibilmente e a tutt’oggi - inedito nel mercato italiano.

Ripercorrendo la vita di Harvey Pekar, utilizza un’impressionante varietà/ricchezza di stili, tra accostamenti e sovrapposizioni, svariando  tra umori difformi, tra situazioni ricostruite e la viva voce/presenza del protagonista, arrivando ad annoverare anche un pugno di ardite licenze che mescolano frontalmente realtà e finzione.

In questo modo, assorbe come una spugna la forma mentis del protagonista, rimanendone fedele dall’inizio alla fine, affronta l’universo dai fumetti entrando da un varco inusuale, dribblando ogni sorta di scivolone manicheo, comunicando senza peli sulla lingua.

Quindi, passa al setaccio il background di un personaggio viscerale e tormentato, snocciola aneddoti e affronta disturbi ormai diffusi su una scala sempre maggiore, come la solitudine, la depressione, le manie ossessive e compulsive.

Tutto questo avviene all’insegna di una ragguardevole capacità di adattamento, che porta a stilare un libretto di istruzioni per l’uso che chiude il cerchio tra vita e arte, sparigliando i classici ordinamenti – biografia, commedia, drammatico, documentario e ispirazione fumettistica - così da cancellare i canonici confini, creando molteplici sfumature e variazioni.       

Un insieme dialogante e ruvido, disallineato e imbizzarrito, che coltiva il disordine e lascia il segno anche grazie a un Paul Giamatti in gran spolvero, senza trascurare Hope Davis, la cui entrata in scena permette al film di ingranare marce aggiuntive.

 

Paul Giamatti, Hope Davis

American Splendor (2003): Paul Giamatti, Hope Davis

 

Nel complesso, American Splendor viaggia box to box ingegnandosi, distribuendo e raccogliendo talenti originali e disagi comuni, rovinosi fallimenti e spruzzate di felicità, amore contrastato e solitudine marcata, squallore e splendore, gioie che rinvigoriscono e dolori (quotidiani) che tolgono le forze, malattia e guarigione.

Un bagaglio estremamente assortito, un’interfaccia caleidoscopica con siparietti sfacciati e intersezioni sorprendenti, di gran lunga il miglior film diretto a oggi del duo formato da Shari Springer Berman e Robert Pulcini, per il resto fermi tra blande soddisfazioni – Il diario di una tata, Cinema verite - e delusioni più – L’apparenza delle cose - o meno – Un perfetto gentiluomo, Imogene - cocenti.

Schietto e autentico, empatico e amaro.

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