Regia di Herschell Gordon Lewis vedi scheda film
Un modesto film, ma significativamente importante nella storia del cinema horror per essere stato l'apripista del filone gore e splatter.
Fuad Ramses (Mal Arnold), immigrato egiziano residente nella periferia di Miami, è impegnato nell’attività di catering per alcune catene di ristorazione. Cultore di un antico rito legato alla mitologia della dea Ishtar, Ramses rimane suggestionato dalla lettura di antichi testi, convincendosi di poter fare risorgere quest’ultima mediante la realizzazione d'un puzzle di carne e sangue, costituito con differenti parti anatomiche di esseri umani. Le sue vittime sono giovani ragazze, destinate a immolare parte del loro corpo (o i loro organi interni) al “collage” costituito da più parti: braccia, gambe, busto e… testa. Ramses, una volta composta parzialmente la salma, intende eseguire la cerimonia finale servendosi dell’ultima vittima (sotto ipnosi), destinata a donare la parte più importante del corpo: il cranio. Durante una festa realizzata in onore della bella Suzette Freemont (la playmate Connie Mason), Ramses intende così portare a compimento il suo delirante piano. Ma le insistenti indagini della polizia portano, nonostante il loro catastrofico esito, a un finale tragico allorchè Ramses si vede costretto a fuggire, sino a nascondersi all’interno di un bidone dell’immondizia.
"Il getto di sangue è poesia
non c’è modo di fermarlo."
(Sylvia Plath)
Sino all’inizio degli anni ’60 i registi cinematografici non avevano mai osato affrontare apertamente la violenza nella sua rappresentazione grafica ed esplicita, intesa come tema principale della narrazione. David F. Friedman, un produttore già artefice di alcuni pruriginosi nudies, in collaborazione con un professore (H.G.Lewis) di letteratura inglese impiegato in un'università statale americana (University of Mississippi), decide di realizzare un lungometraggio che punta essenzialmente sulla rappresentazione di esplicite e crude sequenze di sangue, imbastendo il tutto con un plot essenziale e quasi ridicolo (pare che la sceneggiatura non superasse le 15 pagine).
All’epoca la censura operava unicamente su sequenze di sesso e linguaggio offensivo, senza contemplare la violenza esplicita. Tanto che Blood feast - girato con soli 24.000 dollari e nell’arco di 10 giorni - circola nelle sale senza alcun divieto, servendo da monito per l’ente di vigilanza che, già all'opera sul successivo film di Lewis (Two thousand maniacs!, 1964), decide di ampliare il margine d’intervento. Friedman e Lewis, gratificati dallo strepitoso e insospettabile incasso, si mettono in coppia fondando una casa di produzione indipendente, con la quale realizzano un’altra manciata di horror grondanti sangue.
Per dare un'idea della pochezza della pellicola, basterà dire che la definizione data da un giornalista [1] dell’epoca, oltraggiato dalla visione, è quanto mai appropriata: nel film, per la prima volta, vi è un enorme dispiego di effetti ed effettacci realizzati dallo stesso regista mediante l’utilizzo di sangue e organi vari (appartenenti ad animali, ovviamente). Girato in maniera approssimativa e interpretato in modo amatoriale, il film di Lewis viene preso come modello dal critico cinematografico John MacCarthy e indicato come punto di partenza per un genere horror codificato successivamente dall’onomatopeica to splat: lo "Splatter" [2]. L’importanza stessa di Blood feast consiste nell’avere dato corso a un nuovo tipo di cinema horror, che verrà ripreso (spesso con budget più consistenti) anche da autori noti, influenzando così l’immaginario collettivo che, nel corso del decennio successivo, vedrà consolidata la formula dello splatter.
Blood feast: scena
Gli obiettivi di Lewis esulano completamente da motivazioni artistiche così come da un sentito affetto per il genere. Blood feast (e seguiti) sono stati concepiti, prodotti e realizzati con finalità puramente economiche; tanto che raggiunto un certo benessere, Lewis si guarda bene - dai primi anni ’70 in poi - dal mettere in cantiere altri film. Ad esempio il seguito, Blood feast 2 (2002), viene concluso unicamente per soddisfare le pressanti richieste dei fans. All’inizio degli anni ’70 la coppia si separa: Lewis si dedica alla realizzazione di alcuni spot pubblicitari, mentre l'ex socio Friedman punta alla produzione di pellicole hard. In Blood feast fa la sua brava comparsa anche lo stesso Friedman (nel ruolo di un marito ubriaco), mentre Lewis presta la propria voce a un annunciatore radio.
Blood feast: scena
A metà degli anni ’80, per mano della regista Jackie Kong, il film di Lewis è al centro di una (liberissima) rivistazione - Blood diner - uscita anche nelle nostre sale col titolo di Il ristorante all’angolo: in questa occasione la componente splatter viene però minimizzata da un plot decisamente troppo ironico, tanto da passare sin da subito (anche a causa delle successive edizioni home video, pesantemente tagliate) nel limbo dei film dimenticati. Per la sua componente, all'epoca "viscerale", Blood feast è stato bandito - dal 1984 sino al 2001 - in alcune regioni della Germania e nel Regno Unito. In Italia questo antesignano dell'estremo filmabile non ha mai avuto diffusione: se non, a livello “sommerso”, verso la metà degli anni ’80 circolando in penose e inguardabili edizioni/copia VHS in lingua originale; quindi in DVD (import) a costi pressochè esorbitanti. Sino a quando (metà anni '90) un'emittente a pagamento (l'estinta Tele +) decide di mandarne in onda una versione (cut) con sottotitoli nella nostra lingua.
L'ultimo libero remake del film di Lewis, non particolarmente apprezzato ma certamente più professionale, è stato diretto nel 2016 dal regista tedesco Marcel Walz, all'opera su un set americano.
Blood feast: scena
Vomit bags: un utile sponsor
Un curioso gimmick [3] adoperato per promuovere il film lo si deve al produttore David F. Friedman. Stando alla cronaca fece vedere Blood feast alla moglie che pare abbia commentato sinteticamente qualcosa come: "Vomitevole!".
Friedman intese tale affermazione come positiva e subito si mise in moto per organizzare un insolito battage pubblicitario, ovvero la consegna gratuita, agli spettatori entranti nelle sale dove era in proiezione il film, dei classici "vomit bags", seguiti dall'avvertenza: "Potreste averne bisogno durante la visione!"
Trovata pubblicitaria poi plagiata in occasione dell'uscita di altre pellicole "disgustose" distribuite successivamente: Pink flamingos (1972) di John Waters e, persino in tempi più relativamente recenti, Hostel (2005) di Eli Roth.
Note
[1] “Serata del dilettante in un negozio di macelleria”
[2] Neologismo che appare, per la prima volta, nel libro di MacCarthy dal titolo "Splatter Movies" (1981)
[3] "GIMMICK": trovata pubblicitaria bizzarra e non convenzionale ideata per promuovere un film, ad esempio quelle utilizzate da William Castle, poi passate alla storia: tipo spettatori pagati per urlare tra la folla o (finti) scheletri volteggianti nelle platee cinematografiche durante le proiezioni
"La storia umana di ogni epoca è rossa di sangue, avvelenata di odio e macchiata di crudeltà, ma è solo dai tempi della Bibbia che queste caratteristiche non hanno avuto limiti."
(Mark Twain)
Trailer
F.P. 17/06/2021 - Versione visionata in lingua inglese / Aggiornamento della recensione pubblicata in precedenza su DarkVeins
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