Regia di Bahman Ghobadi vedi scheda film
Un road movie curdo. In moto e sidecar. Di un anziano cantante e dei suoi due figli. Questo film, il cui titolo originale significa Abbandonato in Iraq, ha la tragica e grottesca ironia del cinema balcanico, capace di stemperare il dramma umano nel colore etnico, amalgamando il dolore con l’ambiente di cui esso è il tipico prodotto. Il male endemico è quello a cui ci si abitua, che ben si conosce e per questo non spaventa, ed è così comune da diventare un gaudio quasi intero. Per questo si ride, si canta e si balla così spesso, nella Serbia insanguinata di Kusturica, ed anche in questo film, in mezzo alla miseria dei campi profughi, alle devastazioni della guerra ed alle aberrazioni derivanti da una cultura arretrata. La musica è il necessario diversivo che distoglie dalla dura realtà, un po’ come la bugia e l’imbroglio: sono tutti strumenti necessari a sopravvivere, a riempire la vita di qualcosa, fosse anche un’illusione, in un mondo in cui la verità si dice, purtroppo, in poche, tristissime parole. Il gusto per le curiose debolezze umane è quello che Ghobadi riesce ad aggiungere a questa storia di deserto e fatica, di amori negati o contrastati, di solitudine. È una sorta di primitiva gioia per quella fiamma di vitalità schietta ed ammiccante che la sofferenza e l’ingiustizia non riescono a spegnere: un lampo di istintivo amore universale che, a dispetto delle divisioni prodotte dalle incomprensioni, dagli egoismi e dai pregiudizi, finisce sempre per riavvicinare le persone.
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