Regia di Tinto Brass vedi scheda film
Tinto Brass ne L'uomo che guarda si barcamena a pezzi e bocconi con citazioni colte e tenta un discorso teorico sul voyeurismo con un gioco di incastri e rimandi tra il protagonista, lo spettatore e soprattutto sé stesso (che compare naturalmente nel film ma anche già sullo sfondo di una delle locandine), quasi si volesse fare una versione erotica de L'uomo con la macchina da presa.
Il nostro pseudocantore dell'eros (tale almeno nella maggior parte delle sue abbondanti scariche intestinali) ha indubbiamente un fascino stilistico notevole e originale, subito riconoscibile per quanto riguarda movimenti di macchina, montaggio frammentato, luce e scenografia (benché quest'ultima spesso solo ripetuta, identica nelle sue matrici), uno stile concreto ma irrealistico nei suoi movimenti e per questo affascinante. L'uomo che guarda,con la sua cura formale ispirata e il soggetto potenzialmente fertile e stimolante, è però inevitabilmente affossato a causa dei soliti difetti degli "ultimi" film di Brass: impianto narrativo tradizionale ma con sviluppo senza esito, mera successione di incastri orgasmici o carni ballonzolanti che arrivano solo al ridicolo; dialoghi banalissimi e noiosi in bilico tra battutacce sceme e frasi fintamente serie; situazioni senza alcuna credibilità; ricerca affettata della naturalezza; ricerca altrettanto maldestra del dettaglio anatomico, senza alcun tatto.
Qualche turbamento erotico credibile si percepisce appena ogni tanto (lo sguardo attraverso il vetro smerigliato di una porta; Francesco Casale in bagno - forse, credo, l'unica scena autentica per quanto riguarda il versante anatomico maschile -; la preparazione dello zabaione). Peccato.
Una serie di luoghi comuni e ridicolaggini anche da parte di Riz Ortolani.
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