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Quell'ultimo giorno - Lettere di un uomo morto

Regia di Konstantin Lopushansky vedi scheda film

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La recensione su Quell'ultimo giorno - Lettere di un uomo morto

di pazuzu
8 stelle

Vivere sottoterra per trent'anni, forse cinquanta, forse per sempre. Questa non è una minaccia, e nemmeno un cattivo presagio, bensì l'obiettivo da raggiungere, per quel che resta dell'umanità dopo l'apocalisse.
Una banale distrazione, un caffé andato di traverso, sette miseri secondi di ritardo, e la frittata è fatta: è l'inizio della fine, un'esplosione senza precedenti che distrugge ogni cosa e rende l'aria irrespirabile e dannosa, costringendo coloro che hanno avuto la (s)fortuna di restar vivi a rintanarsi nel sottosuolo, in grotte e scantinati angusti che un tempo erano parte di palazzi ormai ridotti in cenere, e lì a guardarsi in faccia, a confidarsi il proprio disprezzo per l'uomo e per il progresso, a confrontare le proprie frustrazioni la propria disperazione e le proprie paure, in attesa che sopraggiunga la morte.
Il giorno e la notte, fuori, non esistono più: a regnare, tra binari divelti e strade dissestate, è un'intensa foschia color smog, cupa e pressante, da affrontare con la maschera antigas e rispettando i rigidi orari del coprifuoco; uscire vuol dire vagare tra i cadaveri in decomposizione e le macerie di una civiltà estinta e rischiare la vita sotto il tiro di elicotteri e carri armati, ma è indispensabile per recarsi al mercato nero a barattare cibo in scatola con medicinali preziosi ed altrimenti irreperibili.
Nei sotterranei di quello che un tempo fu un museo, insieme al personale del posto ha trovato alloggio uno scienziato, premio Nobel, che non ha ancora ceduto al cinismo e alla rassegnazione imperanti, e che quindi sceglie di spendersi nella salvaguardia delle emozioni: aggrappandosi alla cagionevole salute della moglie, molto malata e ben più rassegnata di lui; consegnando al figlio scomparso, con ogni probabilità inghiottito dal grande botto, un domani tanto sommesso quanto improbabile, immaginato in lettere a lui destinate nell'irreale speranza di rivederlo; e dimostrando solidarietà e rispetto per i piccoli ospiti di un orfanotrofio, abbandonati al loro destino, scaricati, e privati di ogni possibilità di salvezza da autorità ottuse che, pianificando il trasferimento selettivo della popolazione in un bunker centrale protetto, non si fanno scrupoli nell'estrometterli dal programma giudicandoli irrecuperabili perché malati, provati allo stremo, e shockati al punto di vegetare in uno stato di torpore e staticità (in)cosciente.
Letters from a Dead Man, esordio targato 1986 del russo Konstantine Lopushanskij, allievo di Andrej Tarkovskij e tuttora in attività, racconta l'incubo di un mondo prossimo a sparire, in cui nulla ha più valore, nemmeno il tempo, nemmeno la cultura, in cui l'unico requisito richiesto ad un libro è che abbia la copertina rigida e le pagine in carta naturale buone da ardere per scaldare gli ambienti, in cui ogni ora è uguale all'altra in un crepuscolo interminabile, in cui un'umanità annichilita si trascina per inerzia rinunciando ad ogni prospettiva, e in cui un uomo di scienza profondamente avvilito dal fallimento della stessa può esser preso per pazzo perché rifiuta la tesi del pianeta al collasso, perché nella devastazione generale trova ancora la forza di cercare un appiglio verso il futuro, perché ambisce ad individuare una formula che parli ancora di vita all'aria aperta, perché crede nella sopravvivenza della specie, perché si produce in pensieri positivi e lungimiranti per non morire dentro, perché coltiva un'illusione per darsi un obiettivo, per mantenersi vivo.
Girato a ritmo catatonico e caratterizzato da un impianto visivo fitto e claustrofobico che sfrutta una fotografia monocromatica e densa dominata da inquietanti tonalità seppia per donare alle ambientazioni più varie un senso di sconfortante uniformità e disperante desolazione, quello di Lopushanskij è un film poetico lugubre sconvolgente ed irrimediabilmente pessimista che disegna la parabola discendente di un uomo romantico alle prese con il declino di una specie che non sa più lottare e che ha accettato l'estinzione come conseguenza logica ed inevitabile della propria inettitudine.
Letters from a Dead Man è un'esperienza di non-vita che lascia attoniti e disarmati. Da recuperare.

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