Il film, in linea con quasi tutti quelli appartenenti al filone degli eurospy anni 60, è impregnato di stereotipi che servivano ai produttori dell’epoca per attirare nelle sale i fan dell’indiscusso eroe cinematografico del momento, l’agente segreto James Bond con nome in codice 007. Stereotipi che posso essere così riassunti: un inizio di film ambientato all’interno di un aereo o la ripresa dello stesso in volo; il nome in codice dell’agente riportato nel titolo ma mai citato nel film; il fatto che lo stesso sia di nazionalità americana e non inglese come il personaggio inventato da Ian Fleming; la storia che si dipana tra più paesi tra cui uno esotico; infine la trasposizione su pellicola dell’ossessione dell’opinione pubblica dell’epoca verso la Cina come paese emergente. Se vogliamo dirla tutta l’unica cosa che manca è la onnipresente scena della sfilata di moda che troviamo in molte opere del periodo, altrimenti sarebbero stati assolti tutti i cliché del genere.
Storia completamente sconclusionata ed in molti punti senza coerenza narrativa, nel guardarlo si ha l’impressione che la sceneggiatura sia stata scritta o modificata in itinere a riprese iniziate.
La trama vuole che l’agente segreto americano George Steele (John Ericson), mentre si trova all’aeroporto di Roma-Fiumicino in attesa di imbarcarsi per il Giappone, venga contattato dai funzionari della multinazionale R.I.U. (Ricerche Internazionali Uranio) i quali gli propongono una missione in Nord Africa dove dovrà indagare su presunti boicottaggi dei loro giacimenti da parte di tale Ben Ullah (Beni Deus). Dopo vari incontri con personaggi misteriosi legati alla storia e scontri a fuoco durante la sua permanenza a Roma, l’agente Steele arriverà si in Nord Africa, ma contro la propria volontà, rinchiuso in un baule e caricato su un aereo. Prigioniero di predoni arabi, viene salvato dall’affascinante agente Fatima (María Granada) che lo conduce da Ben Ullah. Steele riesce a conquistare la fiducia di Ben Ullah e per suo conto va in missione, accompagnato da Fatima, nel territorio abitato dai presunti discendenti di Atlantide, zona che sembrerebbe ricca di uranio. Da questo punto in poi iniziano i veri deliri del film. Giunti all’inizio della terra degli atlantidei, un’area desertica del tutto inospitale dove sopravvivere è impossibile, Steele per essere all’altezza di James Bond tira fuori anche lui un gadget da agente segreto, solo che vista la povertà produttiva che aleggia sul film fin dalle prime immagini, il gadget ci viene fatto solo immaginare e non mostrato. Il nostro eroe facendo pressione con le dita su un gomito, attiva una ricetrasmittente impiantata sottopelle che avvisa un elicottero pronto a portargli delle tute per sopravvivere in quel terreno. E questo è solo l’inizio del delirio, proseguendo il no sense prenderà il sopravvento. Arrivati finalmente nella terra degli atlantidei, che appaiono ai nostri eroi vestiti similarmente come gli abitanti dell’antica Mesopotamia, indubbiamente costumi di scena di qualche vecchio peplum riciclati per l’occasione, si ritrovano ad assistere al matrimonio di Albia (Bernardina Sarrocco), la figlia del capo supremo (Mino Doro), la quale non volendone sapere di sposarsi un uomo che non ama scappa tra le braccia di George Steele. Fatima, che non ha nessuna intenzione di restare a guardare mentre si vede soffiare sotto al naso l’agente segreto, se le da di santa ragione con l’atlantidea.
Tornata la calma tra le due e placati i cuori, in una girandola di colpi di scena dove nessuno era in realtà quello che diceva di essere, Albia confida a Steele che non è la figlia del capo ma un agente segreto russo che fa il doppio gioco, lo stesso vale per Fatima e persino il capo degli atlantidei non è atlantideo perché gli atlantidei non esistono. Lo stesso spiegherà che il suo popolo prende l’energia, non dall’uranio come erroneamente creduto, ma dal nettunio una sostanza prodotta da un meteorite caduto sulla terra migliaia di anni prima. Nei folli piani dell’uomo c’è il desiderio di donare alla Cina questa preziosa energia così da permettergli la conquista del pianeta. Ovviamente, alla fine, l’agente segreto riuscirà a far fallire il folle piano e durante la fuga scoprirà che Ben Ullah, per restare coerenti con l’incoerenza della storia, era anche lui un doppio giochista. In realtà non era altri che uno dei funzionari della R.I.U. che ad inizio film aveva incaricato Steele ad indagare.
Difficile riconoscere nel film la mano di Domenico Paolella. Il prolifico regista ha attraversato quasi tutte le stagioni del cinema italiano ottenendo risultati migliori di quelli espressi in questo film. Il riferimento al peplum non è casuale, essendo il genere dove il regista maggiormente si è cimentato. A sua difesa va detto che gli spionistici dell’epoca, sono stati per quasi tutti i registi un passaggio obbligato e quasi sempre non hanno permesso agli stessi di esprimersi al meglio. Causa principale, come nella maggior parte dei casi, i tempi di lavorazione molto stretti dettati da dinamiche di mercato. Il film vale una visione, l’importante è non avere aspettative.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta