Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Quanto è importante nell’analisi di un film il cosiddetto “sottotesto”? Nel caso di “Fronte del porto” il sottotesto è piuttosto conosciuto ed evidente: il regista Elia Kazan e lo sceneggiatore Budd Schulberg erano stati collaboratori della Commissione per le attività anti-americane istituita dal senatore McCarthy e avevano denunciato diversi amici e collaboratori “comunisti” che finirono nelle liste nere e non poterono più lavorare o furono in diverso modo perseguitati. Il triste ricordo di quella “caccia alle streghe” è ancora vivo nella coscienza dell’America democratica, tanto che alla consegna dell’Oscar alla carriera a Kazan nel 1999 alcuni attori come Nick Nolte e Ed Harris non applaudirono e non si unirono alla standing ovation generale. In questo film sembra che regista e sceneggiatore vogliano comunicare allo spettatore la “necessità” di quella delazione attraverso la necessità della delazione di Terry Malloy nei confronti del corrotto Johnny Friendly e della sua banda di gangster che gestiscono il traffico lavorativo nel porto; tuttavia, questo sembra davvero un efficace espediente di Kazan per “pararsi il culo” nei confronti dell’azione tutt’altro che onorevole da lui compiuta (scusate il termine volgarotto, ma credo che renda molto meglio di tanti altri sinonimi più innocui). In ogni caso, proviamo a valutare il film senza tener conto di questi sottotesti. Buona parte della critica americana, compreso il sempre entusiasta Roger Ebert, valuta il film come un autentico capolavoro; l’Academy ricompensò con ben otto Oscar fra cui Miglior film e Miglior regia, che erano stati negati a Kazan per “Un tram che si chiama desiderio”. Il film è un melodramma sociale con atmosfere da film noir che indubbiamente ha molti meriti, soprattutto nell’ordine formale: la fotografia in bianco e nero di Boris Kaufman è eccellente nel valorizzare un’ambientazione invernale tutta ripresa in esterni, di forte impatto visivo; la musica di Leonard Bernstein è un validissimo commento all’azione; le interpretazioni sono quasi tutte di prim’ordine, con un Brando davvero geniale, convincente tanto nei suoi scatti d’ira che nelle sue crisi di coscienza che negli slanci amorosi per Edie (e la storia d’amore, da alcuni vista come un punto debole del film, a me è sembrata convincente e toccante). Ci sono alcune scene memorabili: la più famosa è certamente quella dell’ultimo colloquio in macchina fra Terry e suo fratello Charlie che poco dopo verrà ucciso, largamente improvvisata da Marlon Brando e Rod Steiger, che mostra con efficacia l’affetto che lega i due fratelli… tuttavia, è innegabile che in altri punti del film ci sia una tendenza all’enfasi oratoria e alla dismisura: le scene con il sacerdote interpretato da Karl Malden risultano piuttosto retoriche nei dialoghi, fin troppo sottolineati. I personaggi dei “cattivi” sono anch’essi resi senza molte sfumature, con un Lee J. Cobb bravo ma troppo caricato come Johnny Friendly, che qualcuno ha paragonato al Bruto di Popeye. Cercando di farne una sintesi, il film ha notevoli pregi e uno stile di indubbia potenza, ma le ambiguità ideologiche non consentono di parlarne nei termini di un capolavoro assoluto della settima arte. Per me 4 stelle e mezzo.
Voto 9/10
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